No Banner to display
Pochi giorni orsono, nel mezzo della bufera sui rapporti fra UBS ed il fisco USA, il Consiglio federale ha pubblicato un progetto di regole procedurali sullo scambio internazionale di informazioni fiscali. Abbiamo chiesto una descrizione sommaria del contenuto e delle conseguenze, nel contesto degli attuali contrasti con il fisco USA ed il fisco UE, all’avv. Paolo Bernasconi, che nel marzo scorso aveva già lanciato un progetto analogo in occasione di un Convegno del Centro di studi bancari.Sono solo sedici articoli, ma vengono a colmare una lacuna che in questi anni è diventata sempre più profonda: le norme di procedura per eseguire le domande delle autorità fiscali straniere indirizzate all’Amministrazione federale delle Contribuzioni (AFC), designata, come già nella prassi, quale unica autorità competente in questa materia. Finalmente vengono precisati i diritti di tutte le persone che sono coinvolte nella procedura svizzera di esecuzione di una domanda da parte di un’autorità fiscale straniera, ossia le banche e gli altri intermediari finanziari che sono in possesso di informazioni e documenti richiesti dal fisco estero, come pure i contribuenti fiscali stranieri che sono interessati alla raccolta e all’eventuale trasmissione di queste informazioni al fisco di casa propria. Un’esigenza ben conosciuta: infatti, è dal 1981 che la Svizzera si è dotata di una legge e un’ordinanza per disciplinare le competenze, la procedura e i diritti procedurali riguardanti la cooperazione fra la Svizzera e gli altri Paesi nell’interesse di procedimenti aperti all’estero per il perseguimento di infrazioni di carattere penale. Si tratta ora di equipaggiare l’AFC con strumenti analoghi riguardanti le domande presentate nell’interesse dell’applicazione delle Convenzioni di doppia imposizione oppure di procedimenti per infrazioni fiscali commesse a danno del fisco straniero.Vietati gli abusiFinalmente viene codificato in modo esplicito il divieto di abusi da parte delle autorità fiscali straniere. Anzitutto, le domande straniere verranno rifiutate nella misura in cui si fondano su informazioni o documenti che sono stati ottenuti in violazione del diritto penale svizzero. Per esempio, dovrebbe essere respinta una domanda di cooperazione presentata dal fisco francese che chiedesse informazioni e documenti riguardanti contribuenti francesi sulla base di quanto ricavato dal fisco francese dalle informazioni e dai documenti messi a disposizione da quel funzionario della Banca HSBC che è accusato di averli sottratti in modo illegale, violando il segreto bancario e commettendo spionaggio economico (art. 273 del Codice penale svizzero). La norma è benvenuta, ma purtroppo restrittiva, nel senso che il divieto riguarda soltanto quegli elementi che fossero stati ottenuti in violazione del diritto penale svizzero. Ciò significa che questa norma – chiavistello non funzionerebbe nel caso in cui, per esempio, il fisco tedesco chiedesse informazioni all’autorità svizzera fondandosi sui documenti ricevuti illegalmente da parte di quell’ormai famoso funzionario della Fiduciaria LGT di Vaduz. Ecco quindi una prima proposta di miglioria: togliere dal termine «diritto penale» l’aggettivo «svizzero», che è troppo limitativo.Il secondo divieto riguarda la cosiddetta fishing expedition: infatti, nel progetto si prevede che una domanda straniera è ricevibile soltanto se contiene, tra l’altro, l’identificazione certa del contribuente oggetto della procedura nell’interesse della quale viene presentata la domanda, nonché l’identificazione certa dell’intermediario finanziario detentore di informazioni. In questo modo si eviterà, una volta per tutte, ogni incertezza derivante dalla utilizzazione di termini ambigui nell’ambito delle Convenzioni di doppia imposizione, come per esempio quella con la Francia. Ma si bloccheranno anche le interpretazioni estensive da parte delle autorità giudiziarie, come quella da parte del Tribunale Amministrativo federale nelle sue sentenze del 5 marzo 2009 in cui dichiarò accettabile la domanda del fisco USA riguardante clienti di UBS, malgrado non contenesse il nome di nessun cliente bensì soltanto alcune indicazioni delle categorie cui potrebbero appartenere i contribuenti oggetto della domanda.Fate le leggi, non la guerraIl Tribunale Amministrativo federale è già stato chiarissimo: nella sentenza del 5 gennaio scorso, ha rammentato quello che tutti i giuristi sanno, ossia che una norma di legge, per esempio quella che stabilisce l’obbligo del mantenimento del segreto bancario, può sopportare una eccezione esclusivamente nella misura in cui la stessa sia prevista da una norma situata allo stesso livello sia formale che materiale, ossia da una norma che sia stata approvata dal Parlamento e che abbia quindi il valore formale e materiale di una legge. In quella sentenza, siccome la FINMA non disponeva di una base legale, il TAF ha dichiarato illegale la consegna di 285 nomi di clienti UBS al fisco americano, in violazione del segreto bancario e commettendo spionaggio economico, in violazione dell’art. 273 CPS. La sentenza del TAF del 21 u.s., ha ripetuto lo stesso, ovvio, principio: l’estensione alla sottrazione fiscale della possibilità di trasmissione di informazioni o documenti al fisco USA prevista in un annesso all’ormai famigerato accordo intergovernativo del 19 agosto 2009 è nulla, poiché l’accordo non è stato approvato dalle Camere federali. Infatti, non è ammesso derogare al segreto bancario se non attraverso una norma dello stesso livello, ossia una norma che sia stata approvata dalle Camere federali. Ora però il Consiglio federale ci ricasca: propone le norme disciplinanti lo scambio di informazioni in applicazione delle Convenzioni contro la doppia imposizione mediante una sua ordinanza invece che mediante una legge, pur riconoscendo che si tratta di una situazione provvisoria in vista di codificare questo progetto in una legge federale. Dopo gli sbandamenti giuridici del 2009, è comunque raccomandabile evitare una soluzione che verrebbe bocciata dal TAF. Il Parlamento è in grado di approvare, anche con urgenza, una legge federale che contenga le norme del progetto messo in consultazione mercoledì scorso. Ma cambiamo il titolo: infatti, l’assistenza in materia fiscale non è soltanto quella prevista dalle Convenzioni contro la doppia imposizione bensì anche quella di un ipotetico (viste le recenti esperienze del Liechtenstein negli altri paesi) trattato specifico sullo scambio di informazioni in materia fiscale (TIAE), per non dimenticare poi lo scambio di informazioni in materia fiscale già previsto dai tre trattati bilaterali del 2004 con l’Unione europea, per i quali è previsto sia il canale penale che quello fiscale. Il canale fiscale dovrebbe essere disciplinato proprio dalle stesse norme appena proposte dal Consiglio federale.UBS, instead of Bonuses pay IRS!Quei manager di UBS che hanno inventato ed attuato per migliaia di clienti contribuenti USA i meccanismi per frodare il fisco americano (IRS) hanno favorito la condanna di UBS al pagamento di 780 milioni di dollari al fisco americano, una perdita reputazionale di portata storica, che si riverbera sull’intera piazza finanziaria svizzera, cagionando scontri istituzionali mai visti finora nel nostro Paese: il potere giudiziario che sconfessa, in meno di tre settimane, sia la FINMA che il Consiglio federale. E non è finita: l’Unione europea, Tremonti in testa, sta alla finestra in attesa di spartirsi il bottino di questa guerra fra UBS e IRS, dove la Svizzera si è alleata ad UBS. La miccia al fulmicotone si sta avvicinando rapidamente alla polveriera: il Governo USA potrebbe considerare insoddisfacente il risultato promesso dal Consiglio federale e da UBS negli accordi stipulati rispettivamente con il Governo americano e con IRS il 19 agosto 2009 e, quindi, potrebbe ripartire il micidiale siluro contro UBS costituito dalla procedura giudiziaria USA. Di fronte a tanti disastri già cagionati e imminenti, ora tocca ad UBS: invece di pagare 4 miliardi di bonus ai propri dirigenti, può destinare questa somma per pagare i debiti dei contribuenti americani verso il fisco USA (IRS), che UBS ha già confessato essere dovuti, se non alle proprie iniziative perlomeno alla propria compartecipazione. Forse, alcuni svizzeri, clienti, imprenditori, dipendenti, politici e funzionari, sono stufi di pagare i danni cagionati da alcuni dirigenti di UBS, per l’operato dei quali deve rispondere UBS e nessun altro.Paolo Bernasconi, avvocato
Venerdì 19 febbraio, ore 18.30, per la Rassegna Un museo…
Può una passione trasformarsi in un lavoro? La risposta è…
Your email address will not be published.
Δ