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Viaggio nella mente, a cosa serve soffrire ?

Mi trovai,qualche anno fa,a dover dare una risposta che non fosse scontata e che non suonasse come un “contentino”,ad un quesito molto simile che mi venne posto da un bambino di terza media al quale era mancata la madre qualche mese prima. Lo incontrai in una struttura sanitaria pubblica dove generalmente si incontravano richieste di tipo diverso,consulenze sui disturbi specifici dell’apprendimento,sui disturbi d’ansia e valutazioni cognitive tramite batterie di test,insomma ,le richieste classiche per un dipartimento di psicologia riservato ai minori.
Ricordo quello sguardo perso e quelle parole,secche e dure,come la morte :”A che serve soffrire? Avvertii il peso di quella richiesta come una responsabilità enorme,spiegare il dolore ad un bambino di tredici anni…
Non ci sono,nei trattati di psicologia infantile,capitoli dedicati a questo argomento,perchè il dolore e la sofferenza non si spiegano,si vivono…a Frosinone come in ogni altra parte del mondo.
Il dolore e la sofferenza sono esperienze interiori,specifiche per ogni individuo che si trovi a doverle provare sulla propria persona tutta…
Il dolore è una ferita aperta,uno squarcio nell’esistenza che la sovverte completamente. Ti costringe a cambiare per sempre l’ordine fino ad allora attribuito alle cose,agli eventi…
Il dolore genera una scrematura naturale del superfluo nella vita degli individui che lo provano,una ridistribuzione di valori e priorità… Un bambino di tredici anni che perde la madre non vuole sapere realmente a cosa serve soffrire mentre pone ad una psicologa la sua domanda ma vuole semplicemente consegnare nelle sue mani quella sofferenza, per darvi un senso…per non esserne sopraffatto fino all’autoannientamento. Ricordo la forza e il calore delle mie mani sulle sue,i miei occhi ad accogliere i suoi in una stretta d’amore e le mie parole,dirette, come la vita:”Il dolore che provi,caro xxx è un’insegnamento importante che la vita ha voluto darti,perchè la vita è un insieme infinito di possibilità,possiamo coglierle o ignorarle. Ti aiuterò ad incontrarlo il tuo dolore,a comprenderlo e a viverlo,perchè saremo in due ad attraversare quel tunnel buio che lentamente,inesorabilmente ci ricondurrà verso la luce. E sarà una luce diversa, una conquista caro xxx,un’acquisizione lenta e graduale,che ti permetterà finalmente di guardare con occhi diversi il dolore,di guardarvi attraverso… “ La seconda Madre Incontrai Anna in un pomeriggio autunnale. Entrò nel mio studio coperta da un abbigliamento esageratamente pesante per quel periodo :un’abbondante felpa di pile confondeva le sue forme dissimulandone l’abbondanza,sulla sua persona non c’era traccia di alcun tentativo di valorizzare la propria femminilità. Non mi guardava negli occhi e quando la invitai a raccontarsi,ad esporre le sue richieste nei miei confronti,a dirmi insomma quale fosse il motivo della sua richiesta di consulenza ad uno psicologo clinico, lei non rispose. Notai che contraeva nervosamente le mani serrate a pugno e che una lacrima iniziava a rigarle il volto quando di scatto alzò il capo per rispondermi “non vedi perchè sto qua?Te lo devo pure spiegare? Io non mi accetto dottorè…non mi accetto perchè nessuno mi accetta e allora mangio,so’ ingrassata ma non m’importa più…solo che adesso ho paura che anche i miei figli iniziano ad allontanarsi da me,come ha già fatto il padre …e poi resto sola,sola al mondo…” Nelle poche parole di Anna era riassunto il significato più profondo della sua depressione che emerse poi in maniera più eclatante quando nelle sedute successive mi parlò dei suoi due tentativi di togliersi la vita risalenti al periodo immediatamente successivo alla nascita dei figli. Anna aveva scelto di nascondersi,di scomparire nascondendosi dietro il suo sovrappeso che simboleggiava una sorta di corazza protettiva,un guscio primordiale che potesse rappresentare in qualche modo il grembo materno che evidentemente non aveva avuto per lei la funzione di “nutrimento” primario,non era riuscito in alcun modo a facilitare il suo passaggio verso la vita autonoma. Quella corazza era per Anna una possibilità per nascondere la propria natura,le proprie paure e la propria vulnerabilità agli occhi del mondo,certa che nessuno mai sarebbe stato interessato a prendere in considerazione una figura umana goffa,quasi asessuata. Il timore estremo per qualsiasi forma di confronto aveva radici lontane,in un’infanzia in cui erano mancati appoggio,sostegno e gratificazioni dalle figure di riferimento che come emerse poi dai suoi racconti le facevano sentire il peso della loro autorità unicamente per screditare le capacità della figlia e mortificare i suoi maldestri tentativi di mettersi in gioco. Il percorso terapeutico di Anna fu lungo,elaborato,una grossa mole di lavoro da gestire per me che però mi ripagò di ogni sforzo. Con Anna dovetti ristrutturare le sue esperienze interne più importanti,a partire dal fallimento del rapporto di attaccamento con la figura materna. Anna dovette ricostruire una madre interna “buona” che iniziasse a guardarla con approvazione e accettazione,ripercorrere le esperienze dolorose del passato e riuscire a dare un significato diverso a ciò che fino ad allora aveva considerato in un’ottica esclusivamente persecutoria…in fondo se la vita non era stata generosa con lei,era giunto il momento di investire sulle proprie risorse personali,sulla propria autostima per uscire da quella corazza che le intrappolava i pensieri,le energie e non lasciava la sua creatività libera di manifestarsi… Anna iniziò a comprendere l’esistenza dell’amore incondizionato,la possibilità di modificare ciò che fino ad allora le era sembrata una condizione assoluta e definitiva,ad amarsi…imparò a decidere…e soprattutto iniziò a prendere coscienza del fatto che ogni individuo SCEGLIE la propria vita…anche quando sente la propria condotta imposta da leggi cosmiche. La vità è una combinazione infinita di possibilità,cambiare vuol dire anche liberarsi dalle catene della reiterazione,dalla non vita…
dott.ssa Sonja Gemma

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