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PROCESSO E MORTE DEL LEADER NELLA SOCIETA’ CONTEMPORANEA PER LA SOPRAVVIVENZA DELL’ESSERE UMANO.

E’ troppo difficile pensare nobilmente quando si pensa a guadagnarsi da vivere“. Rousseau
Una recensione del saggio della dott. sa Michela Marzano “Estensione del dominio di manipolazione.”
Fino al 1968 avere successo nella vita voleva dire conformarsi agli imperativi venuti dall’alto, in seguito lo schema paternalista, si trasforma in una piramide rovesciata dove i dirigenti da capi diventano guide potendo contare sulla cooperazione dell’operaio. Si passa ad un management partecipativo con l’individuo al centro del mondo del lavoro. Dal patto di fedeltà e protezione dell’azienda si va a quello di impiegabilità e fiducia con l’ impresa come luogo di scambio di competenze. Dalla specializzazione schiavistica della catena di montaggio sul modello Fordista e Taylorista con l’operaio semplice esecutore di un compito definito fino allo sfruttamento sistematico senza partecipazione e consenso, fino al Toyotismo con produzioni in piccola scala just in time dove dalla produzione per produrre, si passa alla produzione per vendere a richiesta, obbligando i dipendenti a maggiore autonomia e a maggiore flessibilità in un modello fintamente cooperativo. Dalla sudditanza al modello paternalista nel quale l’autorità religiosa, morale o politica poteva interferire con la libertà individuale definendo il bene e il male siamo passati al modello individualista secondo cui è l’individuo a decidere ciò in cui credere e quello che vuole fare in azienda. Dalla catena di montaggio alle risorse umane. L’eroe classico aspirava alla gloria con il sacrificio personale. L’eroe moderno o il Leader affronta un rischio calcolato unito ad una mancanza di scrupoli che portano al sacrificio del lavoratore che gli si sottomette. Il Leader preferisce licenziare i dipendenti piuttosto che deludere gli azionisti. Il nuovo eroe è colui che riesce ad impadronirsi delle prestazioni altrui ricorrendo alla manipolazione. L’eroe contemporaneo è chi sà vincere ad ogni sfida, titolare di straordinarie capacità, in grado di dare sicurezza in un mondo complesso. E’ il guru ipermediatizzato nella figura del grande Manager in stile berlusconiano celebrato dalla stampa anche come leader politico. Per uscire dal gruppo e distinguersi, bisogna trasformarsi nel Principe di Macchiavelli che per raggiungere il suo obiettivo, non esita di fare degli altri lo strumento per raggiungere il profitto ed il potere, pronto a fingere virtù morali per farsi amare.Il Management come nuova religione dove si diventa imprenditori anche nella vita privata. Per raggiungere il successo si impara a gestire il linguaggio, l’immagine e quindi il potere che ne deriva. Con la programmazione neurolinguistica la tecnica di controllo della comunicazione, si riprogramma il cervello e quindi la parola per conformare al successo comportamenti e linguaggio. Nell’informazione si tratta sempre di far credere, di far pensare e di far agire. L’uso della parola riprogrammata mira a modificare il comportamento degli ascoltatori attraverso processi di persuasione. In un universo fondato sulla manipolazione che posto può ancora occupare la verità? Non si comunica si cerca di convincere. Si cerca il consenso. Non si stabiliscono delle relazioni ma si compiono transazioni dove parlare equivale a falsificare. La parola come mezzo per assogettare gli altri. Essere competenti oggi non basta, bisogna anche essere devoti alla causa. L’impresa offre gli strumenti per crescere e realizzarsi. Dato che il nostro posto nel mondo non è più stabilito per nascita tutto è possibile, basta volerlo. Non una occupazione ma una svolta nella vita. Prima la sfera privata e quella religiosa avevano la precedenza, oggi il lavoro è il principale traguardo per la realizzazione personale. Nel lavoro e solo con esso possiamo acquistare dignità e valore. Il lavoro dà un senso alla vita. Ogni azienda propone modelli che hanno un etica di rispetto per la persona umana ma ciò che effettivamente prospettano è un conformismo aziendale. Si offre lavoro autonomo ma dipendente da obiettivi che non possono essere discussi. Si richiede una partecipazione quasi religiosa alla causa,autonomia ed assunzione dei rischi ma non di accedere ai vantaggi sui guadagni che il rischio comporta. Il dipendente modello è un individuo impegnato totalmente nella sua attività riconoscendovi motivi di felicità nell’essere elastico, flessibile e versatile. Il lavoratore si crede autonomo ma è sempre più vincolato a degli obiettivi in uno stato di tensione continua. Vive nell’angoscia e nell’ impotenza di fronte all’instabilità del mercato globalizzato in una condizione di crisi permanente perchè vengono richiesti tempi veloci nella produzione per essere concorrenziali. Il tempo non viene gestito ma subito dal lavoratore che con Internet lavora anche da casa non liberandosi più dallo stato di necessità. Si lavora in una condizione di continua emergenza per essere più efficenti. Impegnarsi nel lavoro è l’unica strada per raggiungere la piena affermazione. La Società esalta la realizzazione di se’ nell’alienazione strategica aziendale del tutti contro tutti. Ogni impiegato ha un portafoglio di competenze che va riempito da corsi di formazione per non diventare inutile. Capacità di adattamento a nuovi progetti e polivalenza rendono il dipendente impiegabile competente e reattivo. Non volersi dedicare allo sviluppo personale è una incapacità di adattarsi al mondo ed alla felicità che ne deriva. Imprenditori di se stessi ma se vieni licenziato è perchè sei stato incapace di adattarti. La libertà o spazio vitale, si riduce al fatturato previsto. Diventando dipendente dal lavoro dedicandogli tutte le energie, cessi di esistere come persona. Privati della propria identità si corre il rischio di non riuscire più a riconoscere se stessi. La Società non sopporta la fragilità! Sei colpevole del tuo fallimento. Se fallisco sul lavoro che mi da’ una identità, a cosa serve vivere? Essere disoccupati significa essere morti. Il senso di colpa che ne deriva può portare al suicidio come testimoniano i giornali. Di fronte alla mobilità forzata ed alle incertezze della flessibilità è difficile essere registi della propria vita. Come si può stabilire relazioni durevoli se si è costretti a migrare da un ruolo all’altro? Se le situazioni cambiano in fretta per necessità, non si può costruire un duraturo rapporto di coppia basato sulla fiducia. I legami individuali sono snaturati e ridotti a relazioni puramente utilitaristiche e lavorare da’ il diritto di esistere. Il senso della vita si riduce alla impiegabilità. Bisogna sempre dare di più . Conta il presente, l’immediato e l’istante. Occorre trasformare la propria esistenza in un modello e mantenerlo inalterato nel tempo ricorrendo a diete o ad interventi chirurgici. Avere successo ed essere responsabili della propria immagine è imperativo. Non dovete cambiare il mondo ma dovete essere voi a cambiare. “Il lavoro rende liberi” citava il motto di Auschwitz. Questa è la sostanza del saggio della dottoressa Marzano che presenta un’atroce verità sull’esistenza di un’individuo manipolato e costretto a vivere per lavorare. Credo che il lavoro sia solo un mezzo di sussistenza, bisogna farlo bene e per il benessere comune. Rainbow7

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