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La svolta di Obama sulle banche.


Ad un anno
dal suo insedia­mento alla Casa Bianca Barack Obama compie una
clamorosa e inaspettata svolta. Il presidente americano dichiara guerra
a Wall Street, facendo proprie le tesi dell’ex numero uno della Federal
Re­serve, Paul Volcker. Propone in­fatti una riforma del sistema
bancario il cui spirito si rifà al­la legislazione varata negli anni
Trenta nel pieno della Grande Depressione: quelle norme im­ponevano la
separazione tra banche commerciali, che rac­coglievano il risparmio dei
cit­tadini e che erano garantite dal­lo Stato, e banche di
investimen­to, che non potevano raccoglie­re il risparmio, ma potevano
ci­mentarsi in operazione ad alto rischio. Questa separazione era stata
abrogata negli anni No­vanta dall’amministrazione Clinton su proposta
dell’allora ministro del Tesoro, Larry Sum­mers. Costui oggi è il capo
della squadra dei consiglieri econo­mici dell’amministrazione
de­mocratica, che finora si era pro­filata per una strenua difesa
de­gli interessi di Wall Street. La svolta del presidente america­no,
sicuramente motivata dal­la sconfitta del candidato demo­cratico
nell’elezione del succes­sore di Ted Kennedy al Senato, rappresenta uno
schiaffo pro­prio a Larry Summers, al segre­tario al Tesoro Tim
Geithner, e al numero uno della Federal Re­serve Ben Bernanke. È quindi
probabile che nei prossimi gior­ni vi siano le prime ricadute
po­litiche di questa svolta. Le proposte lanciate giovedì se­ra da
Obama sono destinate a cambiare in profondità il siste­ma bancario
americano e ad in­cidere anche sulle attività delle banche estere
attive negli Stati Uniti, come UBS e Credit Suisse, poiché anch’esse
dovranno sot­tostare alla legislazione statu­nitense. È verosimile che
i Pae­si europei siano costretti a se­guire le orme degli Stati Uniti.
Già il Partito conservatore bri­tannico, che i sondaggi danno vincente
nella prossima consul­tazione elettorale, ha ufficial­mente comunicato
di voler in­trodurre anche in Gran Breta­gna le medesime regole. Le
idee base, che dovranno esse­re tradotte in norme attuative, mirano ad
affrontare due que­stioni fondamentali: l’azzardo morale di banche
troppo gran­di per fallire (e che quindi
bene­ficiano della garanzia statale) e delle attività speculative
condot­te dalle banche con i mezzi pro­pri. «Le grandi banche
commer­ciali – ha detto Obama – non po­tranno più condurre operazioni
sul mercato per conto del loro portafoglio; non potranno inve­stire in
Hedge Fund o società di Private Equity e non potranno avere depositi
che superino com­plessivamente il 10% del totale dei depositi
americani. Questo 10% d’ora in avanti includerà an­che i depositi non
assicurati e gli altri attivi di bilancio».
Questi principi guida costitui­scono una vera e propria rivolu­zione.
Istituti come Goldman Sachs e Morgan Stanley saranno costretti a
rinunciare alla licen­za di banca commerciale, acqui­sita in fretta e
furia nell’autunno del 2008 per poter beneficiare degli aiuti statali;
mentre colos­si come JP Morgan, Citigroup, Bank of America dovranno
fare una cura dimagrante, dismetten­do Hedge Fund costruiti e
finan­ziati in casa e chiudendo le red­ditizie sale di trading che
opera­no con i mezzi propri. Anche le banche estere attive negli Stati
Uniti, secondo Obama, saranno sottoposte alle medesime regole. Quindi,
quella che si prefigura come una vera e propria rivolu­zione del
paesaggio bancario, co­stringerà anche le due grandi banche svizzere a
fare le scelte che finora non sono state fatte.
Le proposte di Obama hanno fat­to immediatamente salire sulle barricate Wall Street, che, da un canto, ha immediatamente
sguinzagliato il suo esercito di lobbisti per far sì che il Congres­so
respinga le soluzioni propo­ste oppure le annacqui e, dall’al­tro, ha
lanciato una campagna stampa per sostenere che que­ste soluzioni non
risolvono al­cun problema e che costituisco­no un clamoroso errore. Dal
punto di vista politico, la posi­zione di Wall Street è molto de­bole.
I sondaggi dimostrano che la stragrande maggioranza del­la popolazione
americana, che sta subendo le conseguenze del­la crisi provocata da
Wall Street, è inviperita contro un settore fi­nanziario che ha
ricominciato ad operare come prima e a di­stribuire miliardi di dollari
in bonus. Ma c’è di più. Le propo­ste di Paul Volcker, fatte proprie da
Obama, raccolgono consensi anche nel Partito repubblicano, a tal punto
che l’ex candidato al­la Casa Bianca John McCain ha già presentato al
Senato una pro­posta di legge che va nella
me­desima direzione. Inoltre il pre­sidente americano, accusato di
mancanza di leadership, ha fat­to chiaramente intendere che userà tutto
il suo peso politico in questa battaglia dichiarando che «se le banche
vogliono la guer­ra, sono pronto a combattere. Più vedo le banche
tornare al vecchio modo di condurre gli af­fari, più le vedo riportare
utili primato, ma allo stesso tempo negare prestiti alle piccole
im­prese, più sento dire che non possono pagare una tassa per
rimborsare ai contribuenti il lo­ro denaro, più sono risoluto a portare
avanti questa riforma». La campagna stampa lanciata da Wall Street si
concentra invece, da un canto, sui costi della rifor­ma, e dall’altro,
sull’inefficacia delle misure proposte. Il primo punto è pretestuoso.
Infatti, i co­sti di una crisi finanziaria, come hanno dimostrato gli
eventi de­gli ultimi mesi, sono
incompa­rabilmente superiori ai costi del­la ristrutturazione del
sistema bancario dovuto a questa rifor­ma. L’inefficacia delle misure è
tutta da provare, poiché il presi­dente americano ha enunciato i
principi guida, ma le norme pro­poste devono essere ancora ela­borate
dall’amministrazione, de­vono passare al vaglio del Con­gresso ed
essere tradotte in pre­cise regole dalle autorità di sor­veglianza.
Quindi, il diavolo po­trebbe ancora nascondersi nei dettagli, ma i
principi guida ap­paiono validi.
Si può concludere sostenendo che
Obama si è svegliato da un torpore che è durato un anno in­tero e ha
proposto una riforma che affronta i problemi del set­tore finanziario e
che probabil­mente risolleverà le fortune di una presidenza che stava
sem­pre più appannandosi.
Alfonso Tuor

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