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Luce e tempo. Dialogo d’arte: una mostra collettiva a Milano

Nino Alfieri, Riccardo Pedrotti e Susanna Vallebona. Tre artisti che con linguaggi differenti hanno dialogato con la luce nella mostra conclusasi da poco presso SBLU_spazioalbello di Milano. Nino Alfieri che punta a ricreare forme essenziali, quasi emblematiche, che superino i limiti delle barriere culturali e del tempo, qui era presente con un omaggio al Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. Il pittore Riccardo Pedrotti, invece lavora creando suggestioni, spesso malinconiche, sulle sue tele qui arricchite ed elaborate con piccoli punti luminosi e apparecchi radio. Infine, Susanna Vallebona che con una grande sensibilità grafica alle spalle ha modellato la luce per creare opere che parlassero dell’esistenza, del tempo.

L’abbiamo intervistata per chiederle di raccontarci meglio il suo lavoro.

La mostra Lights parla di luce e tempo. Che legame c’è secondo lei tra queste due “entità” così effimere e allo stesso tempo concrete?
Luce e tempo grazie all’alternarsi di chiarore e oscurità per me sono un modo di rappresentare il ciclo della vita: vita alla quale ho dichiarato pubblicamente il mio sconfinato amore.

Ci racconta brevemente le opere con cui ha partecipato a questa mostra?
Per quel che mi riguarda quando lavoro parto sempre da una elaborazione mentale: sono così abituata a progettare che mi riesce difficile la spontaneità del gesto per il gesto. Sono molti anni che indago gli intrecci casuali e predestinati che disegnano le relazioni tra le persone e quindi gli eventi. Il mezzo che più facilmente utilizzo è il filo di cotone, che spesso “cucio” sulla carta. Per questa mostra ho utilizzato del filo elettroluminescente che ho cercato a lungo e trovato in internet. Così in una delle opere ho “ricamato”come fosse un cuore un filo rosso e uno bianco pulsante su una t-shirt realizzata in cartoncino. Il discorso delle emozioni legate alla relazione con l’altro si evince anche da un’altra “maglietta” in mostra. In prossimità dello stomaco ho cucito numerose farfalle di plastica colorata, molto leggera. Un rilevatore di prossimità attivava, all’avvicinarsi delle persone, un piccolo ventilatore nascosto dalle farfalle, che muovendosi per effetto dell’aria, riproducono la sensazione di vuoto allo stomaco che avvertiamo quando incontriamo qualcuno che ci emoziona. Un’altra opera “diviso” è il risultato di un taglio che disegna il profilo di un volto da cui fuoriesce un alone luminoso. E infine un piccola installazione che recita “I love life” realizzata con filo di cotone, chiodi e un piccolo cuore che è sede di un cospicuo numero di segmenti di luce chimica che diventano luminosi quando sono spezzati. La luminescenza molto intensa all’inizio, con il passare delle ore si affievolisce fino a esaurirsi dopo 12 ore. Poi bisogna sostituire i segmenti con altri nuovi da spezzare a loro volta. Come dire che anche la passione più intensa ha bisogno di cure e deve essere continuamente rinnovata.

Essendo anche proprietaria dello spazio, come e perchè ha scelto di accostare le sue opere a quelle di Nino Alfieri e Riccardo Pedrotti?
L’idea di aprire uno spazio espositivo nasce dal desiderio di recuperare modalità perse a causa della tecnologia: prima fra tutte la possibilità dello scambio interpersonale, la possibilità di frequentare persone legate all’arte e alla creatività desiderose di confrontarsi su un concetto da recuperare quale è il bello e il suo significato nella nostra società.
Per questo motivo cerco di proporre percorsi progettuali molto differenti tra loro, nella speranza che almeno uno dei linguaggi proposti possa toccare nel profondo i visitatori. Per questo motivo organizzo sempre mostre a tre. Per questo motivo Alfieri, Pedrotti ed io abbiamo parlato di luce con modalità veramente differenti sia per tecnica che per poetica.

Il suo passato, ma anche il suo presente, sono dedicati prevalentemente alla grafica. come si coniuga questo lato strettamente professionale con quello artistico più intimo e personale?
Mi occupo di design e grafica da tantissimo tempo: l’anno scorso ho festeggiato trent’anni di attività solo di Esseblu: un lungo periodo di tempo testimone di grandi cambiamenti. Prima dell’avvento del computer la grafica si faceva con le mani: disegnando, tagliando e incollando. Poi la tecnologia ha cambiato le modalità, costringendomi a rinunciare a una parte di grande soddisfazione del lavoro, quella della manualità. Che ho cercato di mantenere viva realizzando per me stessa opere di vario tipo, costruite con i materiali più disparati: metallo, ceramica, legno.

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