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E’ in arrivo una seconda fase della crisi ‘

Mentre la maggior parte degli analisti finanzia­ri
e alcuni istituti di ri­cerca parlano di ripresa econo­mica e
sostengono che oramai il peggio è alle nostre spalle, si moltiplicano i
segnali che invi­tano alla prudenza e che soprat­tutto indicano un
indebolimen­to dei presunti segnali di rilan­cio dell’economia. Ad
esempio, venerdì scorso l’Ufficio statisti­co dell’Unione europea ha
co­municato che nel 2009 il PIL di Eurolandia si è contratto del 4%
rispetto al 2008. Eurostat ha pu­re detto che negli ultimi tre me­si
del 2009 l’economia europea è cresciuta dello 0,1% rispetto al
trimestre precedente, ossia ad un ritmo inferiore a quello del terzo
trimestre, quando l’economia era cresciuta dello 0,4% rispetto al
secondo trime­stre. Analizzando più attenta­mente i dati di Eurostat,
si sco­pre anche che l’economia tede­sca ha registrato una crescita
zero nel quarto trimestre rispet­to al terzo trimestre, che l’eco­nomia
italiana è ripiombata in recessione (con una contrazio­ne del PIL dello
0,2%), che quel­la spagnola non ne è mai usci­ta (-0,1%) e che quella
greca sta addirittura sprofondando (-0,8%). Nemmeno gli indica­tori
precursori segnalano bel tempo. Ad esempio l’indice te­desco ZEW è
sceso in gennaio per il quinto mese consecutivo e, fatto ancora più
importante, i crediti bancari alle piccole e medie imprese europee
conti­nuano a diminuire mentre, sempre stando alla Banca cen­trale
europea, aumenta in mo­do consistente il numero delle PMI che si vede
rifiutare una ri­chiesta di credito. Dunque la ri­presa appare sempre
più eva­nescente. In realtà, come soste­niamo da tempo, i piani di
sti­molo fiscale e la politica mone­taria fortemente espansiva,
se­guita anche in Europa all’indo­mani del fallimento della Leh­man
Brothers, hanno avuto il merito di evitare una seconda Grande
Depressione e hanno permesso una stabilizzazione dell’attività
economica a bassi livelli, ma non sono riusciti a ri­lanciare
l’economia. La situazione non muta sostan­zialmente al di là
dell’Atlantico. La crescita del PIL americano nel quarto trimestre deve
esse­re infatti contestualizzata. Il rialzo del 5,7%, che potrebbe es­sere
corretto al ribasso nelle prossime settimane, è dovuto in gran parte
alla variazione delle scorte. Escludendo questo fatto­re e utilizzando
gli stessi criteri europei di comunicazione dei dati statistici,
l’economia ame­ricana è cresciuta nel quarto tri­mestre dell’anno
scorso ben più modestamente, ossia dello 0,6%. Inoltre negli Stati
Uniti il tasso di disoccupazione ufficiale ri­mane vicino al 10%,
mentre quello reale supera il 16% (stan­do ai dati della stessa
ammini­strazione). La settimana lavora­tiva si aggira attorno alle 33
ore. Quindi anche la maggior parte delle persone che hanno anco­ra
un lavoro sta percependo uno stipendio inferiore a quello che incassava
prima dello scoppio della crisi. Ma se si analizzano ancora più
attentamente i dati americani si scoprono problemi che inducono a
temere il peggio, a tal punto da considerare la cri­si dei mutui
subprime una sem­plice passeggiata. La crisi del set­tore immobiliare è
tutt’altro che conclusa. Quest’anno i pignora­menti sono destinati ad
aumen­tare, poiché matura la scadenza di una grande quantità di
ipote­che (ARM) che prevedevano per i primi due anni il pagamento di
tassi fissi e nessun ammorta­mento. Inoltre le grandi banche americane
non stanno più ten­tando di ristrutturare le ipote­che, ma stanno
cercando di ri­pulire i loro bilanci, spingendo i proprietari a
chiudere il debi­to con la vendita della casa ad un prezzo inferiore a
quello del­l’ipoteca. Ma c’è di più: la crisi
del Commercial real estate (uffi­ci, grandi magazzini, alberghi, ecc.),
che è stata finora rinviata attraverso la dilazione delle sca­denze e
la trasformazione degli interessi non versati in nuovi de­biti, è
prossima allo scoppio. Se­condo un membro del Comita­to direttivo della
Federal Reser­ve, quest’anno saranno dichia­rati inesigibili più di
1.400 mi­liardi di dollari di prestiti con­cessi a questo settore.
Non
sorprende dunque che stan­no di nuovo manifestandosi sul mercato dei
capitali forti timori sulla solvibilità dei creditori. La questione non
riguarda unica­mente le obbligazioni dei PIGS (Portogallo, Irlanda,
Grecia e Spagna), ma ha varcato l’Atlanti­co e sta colpendo le
obbligazio­ni a maggiore rischio. I segnali in questa direzione si
moltipli­cano: il più chiaro riguarda la «fuga» degli investitori dalle
ob­bligazioni a maggiore rischio e
l’allargamento degli spread (os­sia delle differenze) dei tassi di
interesse. Questo fenomeno, che sembrava confinato alla crisi di
credibilità di alcuni Paesi euro­pei, ha determinato la maggiore fuga
di capitali (più di un miliar­do di dollari in una settimana) dai fondi
americani che investo­no in titoli ad alto rendimento.
È bene
ricordare che questi so­no i segnali precursori, manife­statisi a
partire dal primo seme­stre del 2007, della crisi del mer­cato
immobiliare americano e dei titoli attraverso i quali erano state
rivendute sul mercato le ipoteche americane (e non solo i mutui
subprime). In buona so­stanza si ha la percezione che si stiano
esaurendo gli effetti degli impressionanti interventi delle banche
centrali, i quali erano riusciti a riportare un po’ di cal­ma sui
mercati dei capitali. Le continue iniezioni di liquidità e la stampa di
grandi quantità di moneta erano riuscite a
riapri­re l’accesso ai finanziamenti sui mercati alle società, anche
con rating non elevati, e avevano prodotto una riduzione della
dif­ferenza dei tassi di queste obbli­gazioni rispetto a quelle dei
mi­gliori creditori. Questa norma­lizzazione, indubbiamente il maggior
successo delle banche centrali, sembra agli sgoccioli. Le tensioni che
cominciano ad avvertirsi segnalano che si sta ri­ducendo la capacità
dei merca­ti di assorbire nuove dichiara­zioni di insolvenza. Quindi,
tut­to, dalle paure sui titoli del de­bito greco alle difficoltà delle
banche nel disfarsi dei titoli tos­sici ancora nascosti nelle pieghe
dei bilanci, lascia pensare che come era successo nel 2007 si stiano
preparando le condizio­ni per una nuova forte eruzione di questa crisi
che non è mai ter­minata.
Alfonso Tuor

Foto : grafico rapporto Mutui/Pil

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