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L’Italia non è messa particolarmente male, sul piano strettamente economico, in questa ultima tornata della crisi finanziaria mondiale. È vero che la sua economia ristagna da anni e che nel 2009 è stata colpita più di molti altri Paesi dal maglio della carestia creditizia, ma è vero anche che il suo debito è meno preoccupante e che i suoi conti si stanno squilibrando meno di quelli di altri Paesi. Solo la crisi politica, se da strisciante dovesse volgersi in galoppante, potrebbe provocare un serio peggioramento relativo della situazione economica. Gli articoli di giornale mettono l’accento di solito sulla gravità del debito pubblico italiano, che risulta il maggiore dell’UE dopo quello greco e prima di quello belga. Il debito pubblico italiano in effetti è salito nel mese di ottobre a 1.802 miliardi di euro, dopo i 1.787 miliardi del mese precedente. Questo livello del debito pubblico corrisponde a circa il 117% del Prodotto interno lordo, superiore a quello che c’era al momento della firma degli accordi di Maastricht, che ammettevano per i Paesi dell’euro un rapporto massimo del 60% ma con la scappatoia che Paesi con un rapporto superiore, ma con una chiara tendenza alla diminuzione, potevano egualmente essere accolti. Da quegli anni, però, molta acqua è passata sotto i ponti. Oggi nei quaranta Paesi dell’OCSE il debito pubblico equivale in media al loro PIL. In Giappone, ne supera il valore di oltre due volte. Negli USA, esso sta avvicinandosi al valore del PIL ma salirebbe addirittura al 135-140% se il Tesoro consolidasse nella sua definizione di debito pubblico le obbligazioni municipali e quelle delle agenzie nazionalizzate Fannie Mae e Freddie Mac; mentre nel Regno Unito supererebbe il 170% se il Tesoro di Sua Maestà contasse, come sarebbe tenuto a fare in virtù del Trattato di Maastricht ma ancora non fa, anche il costo dei salvataggi bancari e i passivi delle banche nazionalizzate. La Commissione UE ha lanciato l’allarme: nell’Eurozona il debito pubblico potrebbe raggiungere l’84% del PIL nel 2010, contro il 66 del 2007. In Germania si dovrebbe arrivare al 78%, in Francia al 76%. Mentre nella maggior parte dei Paesi il debito pubblico è in rapida crescita a causa della spesa pubblica in deficit che sta aumentando rapida in funzione anticongiunturale, in Italia il deficit pubblico viene tenuto a freno da Giulio «Cerbero» Tremonti, ministro di Disgrazia e Ingiustizia, cioè delle Finanze e dei Condoni. Certo, anche in Italia il disavanzo pubblico aumenterà, arrivando forse all’8% nel 2010. Ma negli USA, in Gran Bretagna e in Spagna supera già oggi il 10%. Un altro punto di relativo vantaggio dell’Italia consiste nel fatto che una quota relativamente piccola del debito pubblico è detenuta da operatori esteri, e non molto di essi è espresso in valuta estera.Il fatto decisivo però è la diversa propensione al risparmio delle famiglie e il loro basso indebitamento. In Gran Bretagna il debito complessivo del Paese – Stato, imprese e famiglie – è arrivato al 270% del PIL, e la propensione al risparmio delle famiglie è scesa a -1% prima di rimbalzare al 9. In Italia quest’ultimo indicatore si è collocato al 15,4% nel terzo trimestre 2009. Le famiglie italiane risparmiano e s’indebitano relativamente poco. Per ciascuna famiglia italiana, come risulta da una ricerca dell’ufficio studi della CGIA di Mestre, l’importo medio dell’indebitamento nel 2009 è stato di 21.270 euro, contro i 36.150 registrati in Francia, i 37.785 dei tedeschi, i 55.886 degli spagnoli e i 63.477 degli inglesi. I 524 miliardi di euro di debiti dei nuclei familiari italiani incidono sul PIL per il 34,2%. Un valore ben lontano da quello rilevato per esempio in Francia, dove gli oltre 942 miliardi di euro fanno arrivare il valore del rapporto al 49,1%. I risultati più preoccupanti riguardano Germania, Spagna e soprattutto Gran Bretagna, in cui l’indebitamento delle famiglie (1.605 miliardi di euro) incide sul PIL per più del 100%. In Spagna il rapporto dei debiti delle famiglie sul PIL scende, ma non di molto, toccando quota 83,6%. In Germania è pari al 63,5%. Autore : Paolo Brera.
Venerdì 19 febbraio, ore 18.30, per la Rassegna Un museo…
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