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di Emanuela SabbatiniIn un dipinto di Hieronymus Bosch, intitolato “Ascesa dei Beati all’Empireo”, un tunnel luminescente conduce le anime dalle tenebre al chiarore celeste. Uno spazio concentrico che fa da ponte tra due stati opposti quanto contigui. È alla stessa galleria luminosa che fanno riferimento tutti coloro che raccontano esperienze pre mortem e, forse meno poeticamente, ma sicuramente in modo più concreto, potremmo dire che il passaggio all’esistenza nel mondo deittico che ci circonda è frutto dell’attraversamento dell’ennesimo tunnel, questa volta vaginale. Giulio Stasi, drammaturgo, regista e attore teatrale ci ha chiesto di rientrare in quell’incavo di passaggio tra dentro e fuori, tra due stati fatti di posizioni diametralmente opposte: parola e silenzio, entrata e uscita, buio e luce, incanto e disincanto, orgasmico piacere e temibile disgusto.Glory Holes, performance di 11 minuti andata in “scena”, (mai come in questo caso le parole sono un impedimento), per la rassegna romana Short Theatre, ci chiede proprio di farci piccoli, di tornare in uno stato quasi fetale e di perderci nell’ombra del Macro Testaccio per poi ritrovarci rannicchiati in cilindri rassicuranti ed inquietanti al tempo stesso. In silenziosa attesa di qualcosa, qualcuno, guardando oltre, confortati solo dalla luce flebile di una candela collocata all’estremità opposta a quella dove ci è chiesto di sederci. Noi di Popsophia siamo incuriositi. Sì, perché lo stesso Giulio ci racconta che proprio una foto pubblicata sulla nostra pagina Facebook, ha contribuito a ispirare il suo lavoro. Si tratta dell’opera di Žilvinas Kempinas, “Tube”, nella quale l’artista lituano, servendosi di nastri magnetici di vecchie vhs, crea un enorme tunnel attraversabile. L’operazione di Giulio Stasi però ha un impianto simbolico diverso. Qualcuno ci accompagna alla postazione attraversando le superfici bucoliche del Macro, ora museo, prima mattatoio. Lo spazio, contrariamente a “Tube” di Kempinas, non ci consente una posizione verticale. Siamo chiamati ad assumere una postura meditativa, rannicchiandoci e rimanendo in silenzio. Il nostro sguardo ha un unico punto di fuga dato dalla luce gracile che piano rischiara il buio che ci avvolge. Dall’altra estremità del tubo compare una figura. Si raccoglie nel poco spazio e si pone di fronte a noi. Un bozzolo pronto a liberar farfalle, a generare vita nuova. In un luogo angusto, in piena distanza intima, la figura si rivolge a me. Dice che mi cercava. Inizia così il viaggio nel testo di Glory Holes, un episodio, tratto dal film di Mauro Andrizzi, Accidentes Gloriosos. Il titolo non accenna a fraintendimenti. Nello slang legato al sesso il tradotto “Buco glorioso” è quel foro applicato nella parete in bagni pubblici o locali hard per consentire prestazioni sessuali e fellatio di modo che chi le offre rimanga del tutto anonimo. Nella narrata ricerca sfrenata di arrecare piacere in modo appassionato e pieno di dedizione c’è un atto che va oltre qualunque volgarità. In un gesto incapace di generare ma finalizzato solo al massimo godimento, ecco la rottura del bozzolo, il passaggio dalla morte alla vita. Giulio Stasi ci costringe ad osservare il tutto dal di dentro. Dall’interno del buco glorioso, dall’interno della cavità orale. Ci costringe ad un atto remissivo sebbene attivo: siamo chi regala piacere, godiamo anche noi dell’anonimato totale, protetti, come siamo, dal buio ma siamo votati al silenzio dello spettatore. E in quell’esperienza narrata con così tanta dovizia di particolari, il piacere e il godimento stanno nel ricordo, eppure io provo in successione sensazioni quasi dolorose… “Il dolore e il piacere si alternano come la luce e l’ombra”, parola di Laurence Sterne. Quattro chiacchiere con Giulio Stasi.Come è nata l’idea?Al Festival di Venezia nel 2011 ho visto la pellicola Accidentes Gloriosos, film a episodi, poi premiato nella categoria Orizzonti. Glory Holes era uno degli episodi e mi ha toccato nel profondo, ho pianto e non capivo bene perchè. Non ricordo nessuna immagine del film. Mentre ricordo ancora adesso la voce narrante di Cristina Banegas. Che ho conosciuto e visto a teatro qualche mese dopo a Buenos Aires. E che mi ha messo in contatto con Mauro Andrizzi l’autore. Con il testo fra le mani ho cominciato a capire meglio perchè mi aveva tanto colpito quel testo: perchè parla di dare amore ad uno sconosciuto, un amore totale, in maniera disinteressata, anzi interessata al bene dell’altro. Poi di notte nel letto, in mezzo al traffico col motorino, nuotando in piscina, le prime idee registiche. Una foto pubblicata da Popsophia su FB mi ha colpito. Volevo contattare l’autore di quella scultura a buco per ambientare Glory Holes lì. Poi ho capito che dovevo costruirla ad hoc. L’incontro con Alberto Timossi, scultore, lo ha reso possibile. Fabrizio Arcuri, Direttore Artistico di Short Theatre, ci ha poi offerto ospitalità all’interno di una rassegna che esalta le performances fuori formato e che quest’anno aveva come tema West End o la fine dell’Occidente. Gli spazi esterni della Pelanda, i recinti dove venivano chiuse le bestie, che tanto richiamavano i cubicoli scuri e i labirinti del club, sono stati la cornice ideale dei nostri Glory Holes. E il tema della Morte e Resurrezione, che fa da sfondo a Glory Holes ed agli altri capitoli di Accidentes Gloriosos, spero possa essere visto come una piccola luce in fondo al tunnel di questo West End.Farsi piccoli…ritornare in una posizione quasi fetale…in contrapposizione a quella necessaria per una prestazione stile glory hole…Farsi piccoli, farsi feti. Mi piacciono molto le parole che usi. Nel testo come dicevo c’è una “morte” e una “rinascita”. Con un orgasmo trascendentale, raggiunto grazie a un grande dono d’amore, la persona che prima viveva chiusa in una gabbia (di un’omosessualità malvissuta, di regole imposte dalla società, di paure, etc. ) rinasce ad una nuova vita libera e aperta al fantastico. Ed ecco l’immagine di se stessi bambini, in uno zoo, amati e guidati dalla propria madre nel gioco dell’immaginazione.Hai contemplato la possibilità che uno spettatore diventi parte attiva della performance? Per quanto distante dal narrato, ho sentito fortissima la necessità di agire…e se l’avessi fatto?Sì abbiamo contemplato l’idea dell’interazione fra attore e spettatore. E abbiamo provato: a prendere la mano dello spettatore, a baciarla, a baciarlo, a baciarlo in bocca. Tutte queste azioni effettuate alla fine del monologo avevano un effetto esplosivo: che cancellava completamente la bellissima e delicata intimità costruita solo con la voce. A favore di qualcosa di molto forte e carnale. Sarebbe diventato un altro spettacolo. Forse altrettanto bello, forse più bello, quasi impossibile da gestire, forse non più uno spettacolo. Ma diventava qualcos’altro che avrebbe fatto dimenticare l’intimità di quelle parole. Abbiamo deciso di fermarci ai preliminari. Per il momento.Chissà, per gli altri otto capitoli di Accidentes Gloriosos, che avrei intenzione di portare in scena, tutti con una regia che esalti e renda giustizia all’hic et nunc della performance dal vivo e che quindi prevedano un forte coinvolgimento dello spettatore, quali idee nasceranno.
Tags: Emanuela Sabbatini, Giulio Stasi, Glory Holes, Macro Testaccio, performance, Popsophia, roma, Short Theatre 7
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