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Il mistero della Poesia: che cos’è la Poesia; a che cosa serve?

Questo post vuole sottolineare la posizione della Poesia nel mondo dell’Arte e nel contempo far riflettere sulla mancanza di attenzione, in questi tempi in cui la tecnologia la fa da padrona, per questa altissima forma d’espressione.
C’è da domandarsi, in generale: che cos’è la Poesia; a che cosa serve?

Indiscutibilmente è una forma d’arte integrativa delle altre forme, che ha la medesima ragione d’essere dal compiacimento di sé stessa, oltre le motivazioni culturali, sempre se funzionali alla domanda di una società che ne riconosca l’essenzialità tra i valori che accompagnano la propria evoluzione.
Nella società odierna c’è questo requisito? C’è bisogno della sua estetica e dei suoi messaggi?

Indubbiamente è un mezzo di comunicazione. Un mezzo che si esprime tecnicamente in parole metricamente strutturate, sintetizzando il pensiero nella migliore forma compositiva, attingendo gli strumenti dal bagaglio della retorica: per eccellenza, la metafora. Non è facile la sua lettura; spesso esige uno sforzo mentale e ovviamente buona disposizione.
Ricordate il bellissimo film “Il Postino”, quando ci si interroga cosa sia la poesia? “E’ una meta fora”, risponde Pablo Neruda, esule a Capri.

Jorge Luis Borges, quindi, un altro poeta sudamericano, uno dei massimi del secolo scorso, scriveva: “Ogni poesia è misteriosa; nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere”.
Secondo Borges, quindi, la poesia è un mistero; i poeti vivono e sono un mistero. Condivido pienamente quest’affermazione…con ironia. Infatti, la loro misteriosità sta innanzitutto nel coltivare un genere letterario povero di gratificazioni; un genere che ha pochissimi lettori, pochissime disponibilità editoriali e men che meno remunerazioni economiche.
Allora, perché si scrive? E’ la vocazione innata dell’uomo- poeta a spingerlo a scrivere: una forza potente, simile all’innamoramento, che dal fondo del suo intimo e della sua personalità precostituita, cerca risposta alle proprie emozioni, che scatenano irrefrenabili si. Spessissimo, per l’appunto, versi incomprensibili, bisognosi della rivelazione di un altro mestiere: quello dei critici, ormai rari, che cercano di “decrittarne” il costrutto, il valore intrinseco e simbolico. Giuseppe Ungaretti, in una lezione tenuta all’Università di Roma, disse agli allievi della facoltà di Filosofia: “Poeta è colui che s’immerge nell’oscurità dell’universo sommerso, perché corrisponde alla propria esistenza prenatale”. (Un predestinato esploratore dell’essere e dell’esistere). Forse la poesia in sé è la più tormentata fra le arti, quella che fa più soffrire l’onere del dubbio; un’arte amletica in quanto suscettibile di pentimenti e variazioni durante la sua stesura, che può durare settimane, mesi e forse non basterebbe il tempo per rimuovere, ricostruire, cambiare qualcosa di già fatto: l’inadeguatezza di un verso, la stabilità del ritmo, la disposizione formale delle parole. Patemi che assillano, tanto è vero che dopo le loro pubblicazioni molti poeti non le guardano che raramente per non crearsi problemi, altre suggestioni. Scusate le continue citazioni che però rendono l’idea; richiamandomi ancora ad Ungaretti, per un solo verso di poesia di tredici, ci mise un anno intero di ripensamenti, rimuginamenti prima di trovare quello giusto, per lui. (ma siamo sicuri che ne sia stato soddisfatto?) Ritornando al punto di partenza: serve si o no oggi la Poesia? E’ un mezzo efficace di comunicazione nella realtà in cui vive l’Homo Tecnologicus? Una citazione da me memorizzata di cui non ricordo l’autore, diceva pressappoco: “Quando una civiltà ignora la Poesia, è il segnale generale della barbarie culturale sopraggiunta”. Io non credo proprio che siamo a questi livelli, essendo difficile valutarne l’attualità, ma è certamente fuori d’ogni dubbio che non siamo ai livelli di quanto andava ripetendo, forse per scaramanzia, il premio Nobel Eugenio Montale: che il poeta è un mestiere che andrebbe pagato. Aldo Zarattin

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