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Insulti leciti nei reality, così cresce la tv dei barbari

http://www.mondoeventi.com/blog/Spettacolo_e_Tv/2409-Insulti_leciti_nei_reality_cos%C3%AC_cresce_la_tv_dei_barbari

Dare del pedofilo ad una persona in diretta televisiva, di fronte a
milioni di telespettatori, è perfettamente lecito e anzi, non potrebbe
essere diversamente, dato che ci si trova nell’ambito di un reality
show. E’ il succo della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione
italiana, la quale ha respinto la richiesta di risarcimento danni
avanzata da Franco Mancini, concorrente del reality Survivor, insultato
da un "rivale" perché molto amico di un altro partecipante al
programma, molto più giovane d’età. Mancini aveva già perso in primo
grado, davanti alla Corte d’Appello di Rieti. La Cassazione ha ribadito
l’importanza di decidere tenendo conto del contesto.

Qualsiasi cosa per un po’ di celebrità – L’argomentazione dei
giudici della Cassazione è che per giudicare casi di insulti anche
molto pesanti si debba tenere conto della particolarità dei reality
show, i quali esistono per "sollecitare il contrasto tra i
partecipanti. Quella trasmissione è volutamente indirizzata alla rissa
verbale", gli insulti subiti devono essere intesi come "conseguenza
della notorietà volontariamente acquisita con la partecipazione a
quella trasmissione". Morale: fatevi di tutto, distruggetevi in
diretta, stando attenti a non arrivare all’omicidio e a non mandare
all’ospedale nessuno, perché altrimenti il reality a cui partecipate
perde senso e audience.

Vince chi urla di più – Insomma, anche i giudici si piegano alle
esigenze di palinsesto. Ogni Paese ha la tivù che si merita, recita un
vecchio adagio, e non è un caso che format ormai alla frutta come Il
Grande fratello stiano chiudendo i battenti nel resto d’Europa e negli
Usa. Da noi il padre di tutti i reality si prepara per la decima
edizione che durerà, caso unico al mondo, la bellezza di cinque mesi.
Con il paradosso che il reality non è realistico: altrove se i
concorrenti vogliono fare sesso in diretta o dar luogo ad altri
comportamenti eccessivi lo possono fare, anche perché le puntate
vengono trasmesse in seconda serata e a pagamento, bypassando buona
parte del pubblico generalista. In Italia non si va oltre la solita
pruderie frustrata fatta di ammiccamenti erotici, spostando poi
l’attenzione dei telespettatori sugli scontri sempre più violenti tra
concorrenti, meglio se famosi (o celebrità decadute), in un gioco di
rivalsa dell’uomo della strada che gode a vedere tanto isterismo e
abbruttimento.

La "legge" di Eco – Dunque la logica della riunione di condominio
condotta a suon di urla e parolacce viene trasposta, sublimata e
potenziata sul piccolo schermo dai reality show. E funziona, ha
successo. E’ questo che vuole la gente e si è sempre liberi di cambiar
canale, sarebbe facile rispondere. Non è moralismo però, dire che ciò
che ha successo in tv rispecchia la cultura popolare di un Paese. Nel
1964 Umberto Eco, nel suo saggio rivoluzionario e molto discusso
Apocalittici e integrati dimostrò come, al di là della storiografia, di
Cavour e di Garibaldi, a fare l’Italia sia stata soprattutto la
televisione, e in particolare i telequiz di Mike Bongiorno che
insegnarono alla gente a parlare l’italiano, unificando sotto la nuova
lingua quello che era un puzzle di dialetti con relative culture
contadine alle spalle. In un’altra sua opera più recente, Diaro Minimo,
Eco osserva ancora a proposito del padre della tv italiana: "Quest’uomo
deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del
personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità
assoluta. […] Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non
prova il bisogno di istruirsi. […] In compenso Mike Bongiorno dimostra
sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. […] professa una
stima e una fiducia illimitata verso l’esperto. […] Mike Bongiorno è
privo del senso dell’umorismo. Ride perché è contento della realtà, non
perché sia capace di deformare la realtà.[…]". Il risultato è, nelle
parole di Giorgio Simonelli, docente di Giornalismo radiofonico e
televisivo e di Storia della radio e della televisione all’Università
Cattolica di Milano: "Una tv da terzo mondo con un modello ormai
superato".

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