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Con gli occhi del nemico, di David Grossman

David Grossman, Con gli occhi del nemico (Mondadori, pp.115, euro 12), appena uscito in Italia, premio Ischia 2007 per il giornalismo. Quattro saggi per raccontare la pace in un paese in conflitto tentando un’impresa storica: far vivere i lettori i sentimenti e lo sguardo del nemico. Ed gli vi riesce.

 

Purtroppo però non basta. L’assuefazione dell’infinito conflitto israeliano-palestinese, ormai deviato alla sfinente guerra civile palestinese Hamas contro Fath, non sembra venire meno, rischiararsi e dare segni di svolta. Lo stesso scrittore afferma in un intervista che non vi è paese in cui non si parli di questa guerra ma è una situazione così complicata che è impossibile aspettarsi che qualcuno, "al di fuori", capisca cosa succeda. La gente è stufa della guerra in Medioriente, la considera un malessere cronico ma per chi la vive non si hanno vie di scelta. E quello che capita è he quando si è stanchi ci si arrende a pregiudizi e stereotipi perdendo ogni interessamento così che  seguire la complessità della situazione diviene impossibile. Il linguaggio dei media di conseguenza si adatta a ciò fino adiventareoggi molto povero, rozzo, mortificante. La vera nemica della pace è la rassegnazione, sentimento comune in Palestina.

 

La guerra in Palestina ha delle origini  molto antiche, origini tribali. Oggi sebbene sia l’ago della bilancia del pianeta, queste antiche origini stanno venendo meno. Vi è un angolo di terra in Palestina, piccolo quasi quanto la Toscana, da cui più di duemila anni fa furono allontanati gli ebrei . E c’è un desiderio, mai svanito, di ritornarci. Qualche anno fa si è verificato, sono tornati, negoziando non si sa bene come e comprando quelle terre aride ritenute dagli gli ebrei un luogo ideale dove poter ricostruire una loro patria. Qualcosa di questo evento era sbagliato, probabilmente il modo, forse il luogo o magari il tempo, ma sicuramente sbagliato poché da allora non vi fu un giorno senza lutti e guerriglie. Al momento ogni piccola questione infiamma contraddizioni infinite e stenuanti, così la gente diventa ogni giorno più indifferente e più convinta che si tratti di un caso irresolubile. Anche l’aspetto religioso assunto dal conflitto ha luogo dalla disperazione: storicamente è sempre avvenuto che quando l’uomo non trovava soluzioni non gli restava che affidarsi al cielo e questo poi si radicalizzava sempre più. Iintegralisti e Laici, Nord e Sud, moderati ed estremisti . Anche Israele è più divisa e probabilmente quello che la tiene ancora unita è il nemico comune.

 

Questo il messaggio trasmesso da Grossman, un invito a non rassegnarsi, ad andare oltre, ad analizzare bene la situazione. Perché adessopoco importa  capire le origini del conflitto per attribuire colpe. Sarebbe ormai irrilevante. Ci si deve fermare e pensare al futuro, ricostruire, ricominciare da capo. Idealmente, secondo lo scrittore, si dovrebbero chiudere in una villa una delegazione di scrittori, giornalisti, ebrei ed agronomi arabi. I primi due giorni, afferma Grossman, non farebbero che accusarsi vicendevolmente, ma forse poi qualcosa accadrebbe: i nemici si metterebbero per un attimo a nudo, permettendosi a vicenda di entrare uno nella pelle dell’altro, di intravedere le storie e le ragioni reciproche.

 

Grossman è considerato un scrittore pacifista. Eppure egli non si definisce tale: ha fatto il soldato 4 anni, 44 giorni all’anno fa il riservista, ha combattuto tre guerre, due dei suoi figli maschi sono stati comandanti carristi ed un altro è stato ucciso. Egli si ritiene, semmai, uno strenuo combattente per la pace ma non un pacifista. D’altronde è difficile essere pacifisti in un’area così violenta.

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