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Roma. “Segni” alla galleria “Come se”

05 2012 (Libreria / Arte e Storia) Fino al 31 maggio, le opere degli artisti Hernán Chavar, Gloria Cervigni e Marco Cingolani Nel suggestivo spazio della galleria d’architettura “Come se” di Rosetta Angelini, si è inauguarata ieri la mostra intitolata “Segni”, una collettiva di tre interessanti giovani artisti marchigiani, gli scultori Gloria Cervigni e Marco Cingolani e il pittore Hernán Chavar. La mostra, curata dagli architetti Michele Schiavoni e Felice Silvano, è stata introdotta dagli interventi di alcuni professionisti volti a snocciolare parte dei temi fulcro dei lavori esposti. Ad aprire, il curatore Michele Schiavoni che ha descritto la nascita di “Segni” secondo due direttive di incontro. Il contatto concreto con la realtà degli artisti e quello auspicato tra le varie arti, architettura, pittura e scultura. E “Segni”, possiamo dire, che realizza quel connubio tra spazio, segno grafico e scultoreo, un ritorno, seppur parziale, a quel tutto tondo artistico caro alla cultura rinascimentale. E all’interazione con lo spazio si ricongiunge anche il discorso dello scenografo nonché ordinario di scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata Enrico Pulsoni che ritrae lo spazio come elemento fondante grazie al quale gestalticamente si realizza il significato segnico. Poi ancora, l’architetto Antonino Saggio, l’artista Giancarlo Splendiani e il professor Paolo Del Vecchio.
Le opere si integrano l’un l’altra in un dialogo serrato sebbene ognuna parli con un linguaggio tutto suo. Le pareti, costellate dai disegni di Hernán Chavar mostrano quanto un segno grafico, operato con la semplicità e l’intensità della china, possa pervadere lo spazio e violentemente riverberare significati intimi. Prima ancora dei soggetti scelti, ciò che colpisce di Chavar è il suo tratto, pulito, definito eppur sporco. Sporco di quel macabro, rabbioso e sapiente sguardo su se stessi e sul mondo. I soggetti sono tutti del regno della natura. Insetti, animali acquatici, ibridi generati da un richiamo alla preistoria e al mondo immaginifico alla Cronenberg. Se del suo lavoro colpisce quell’esigenza di rappresentare attraverso la natura la deriva di un uomo inconsapevole di appartenerle, è con il segno scultoreo e tangibile di Gloria Cervigni che ci si volge verso un guardare all’uomo forse in modo più benevolo. La Cervigni indaga se stessa attraverso la sua arte e forse ancora poco scruta fuori dalla propria intimità. Ma questo le permette di tessere parallelismi interessanti tra la forma estetica e l’esperienza intima, quasi domestica. Il ferro, freddo, industriale, distante, lega emblematicamente con materiali caldi, tradizionali come la lana, il seme e persino tovagliolini di carta. È un dialogo tra contenente e contenuto, un richiamo alla sessualità e al processo generativo se non forse, addirittura, degenerativo. Marco Cingolani riconduce le menti ad una metafisica di base. Le sue strutture di ferro, semplici, longilinee, verticali, tagliano lo spazio e si relazionano ad esso per mimesi o per contrasto. Qui l’uomo è nel concetto. Sia esso inteso nell’appaiamento di realtà complementari, o come sviluppo di una critica al concetto giudaco-cristiano di “tempo lineare”. Le strutture sospese da terra proiettano ombre esili eppur insistenti, costanti eppur mutevoli, una riflessione, quella di Cingolani giunta ad una maturità essenziale, dopo aver abbandonato la figura umana ed essere approdato ad un concettualismo più definito. (Emanuela Sabbatini)

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