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Economia del debito: una brutta abitudine

La classica teoria economica si basa sul concetto molto semplice della crescita economica partendo dalla definizione del profitto come differenza tra i ricavi e costi. Dal profitto si può sostenere un nuovo costo per ottenere un ricavo futuro e un risparmio, vera chiave di volta per la "crescita".

 

Oggi in Italia, come nel resto del mondo, si assiste ad un momento storico ed economico per niente facile e molto travagliato. Il cittadino chiede la riduzione delle tasse, visto anche il disequilibrio tra le stesse tasse pagate e i servizi garantiti dallo Stato.

 

Non solo, Il ceto medio-basso vorrebbe recuperare una parte del potere d’acquisto eroso in questi ultimi anni con l’introduzione dell’Euro e con l’innalzamento dei prezzi, che non hanno portato ad un eguale rivalutazione dei salari, fermi per la contrazione della domanda interna ed esterna, minata anche dalla forte concorrenza Cinese, che ha acquisito esperienza produttiva e commerciale  grazie anche alle passate delocalizzazioni italiane, insinuandosi con la forza del basso costo della manodopera in tutti i settori dell’economia, riuscendo a competere con vigore ed aggressività nell’Italia sempre più chiusa all’angolo dal proprio debito interno, che non può e non vuole investire, o non riesce  a trovare credito, perdendo competitività nel panorama internazionale.

 

Sicuramente l’Italia ha ereditato una situazione debitoria dovuta dal susseguirsi dei numerosi governi precedenti instabili. Anche la congiuntura internazionale, dopo l’11 settembre 2001, ha arrestato la crescita dell’economia internazionale alimentando la stagnazione economica anche del nostro paese. Senza un’adeguata ridefinizione del concetto d’economia “di mercato” non si riuscirà ad invertire la tendenza,  non  solo  Italiana, ma anche nel resto del mondo. La nuova definizione dell’economia non dovrebbe essere basata sul consumo, come invece avviene al giorno d’oggi sempre di più, ma sulla pianificazione industriale e sul risparmio, non solo dei costi aziendali, che vanno in primo luogo ad incidere sui rinnovi dei contratti che vengono continuamente messi in dubbio o rinnovati con lunghi tempi di ritardo, e che non permettono di generare un ciclo virtuoso di ricchezza atto a favorire il risparmio sopratutto dei ceti medio-bassi.

 

La nuova tendenza contrattuale impedisce la propensione al risparmio proprio mentre si assiste allo stimolo costante verso il credito al consumo nascente dal bisogno di smaltire il surplus produttivo dei paesi industrializzati che spesso producono i beni di consumo nei paesi in via di sviluppo per il basso costo delle maestranze ed per le agevolazioni locali che  rendono allettanti gli investimenti stranieri. Insomma come si può incentivare il cittadino al risparmio e bloccare il consumismo sfrenato che logora sempre di più l’economia del cittadino? Qualcuno sostiene che un utile proposta, potrebbe essere quella di porre in essere sgravi fiscali ai cittadini che dimostrano propensione al risparmio,  premiando cosi la ricchezza virtuosa generata dal risparmio stesso che dovrebbe rientrare, però, nel mercato solo tramite i cittadini e non attraverso altre forme d’investimento o credito dati dal sistema creditizio. Questo ultimo, infatti, è responsabile dei dissesti fallimentari dei cittadini risparmiatori invogliati continuamente all’investimento in quote azionistiche che alla lunga si sono dimostrati carta straccia. E’ il caso dello scandalo Bond Cirio, Parmalat…

 

Allo stato attuale siamo vittime di un debito incontrollato che comprime e soffoca la crescita del paese, alimenta un forte senso di insicurezza del cittadino e impedisce, quindi, la possibilità concreta di generare ricchezza e svaluta il valore, seppure effimero, del denaro portando a consumi superflui che la società ed il mercato in generale non sembrano voler impedire.

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