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Ecco perchè il coaching non è PNL

Ci rendiamo conto che per alcuni il titolo di questo articolo potrebbe forse risultare un po’ provocatorio, ma crediamo altresì che sia doveroso fare il punto della situazione su uno dei principali criteri fondanti che contraddistinguono il metodo del coaching rispetto ad altre modalità di aiuto, di consulenza, di formazione, di motivazione.
In effetti, il coaching oggi rappresenta per alcuni un concetto “friendly”, un modo amichevole per proporre una consulenza o un percorso di formazione con un marketing rinnovato, per altri l’interesse scoperto per il coaching può risultare invece dalla figura “trendy” del coach che ormai ha fatto la sua apparizione anche in TV. Ma il coaching non è questo!

Il coaching non è neanche rappresentato correttamente da tutta una serie di personaggi più o meno famosi che, atteggiandosi da sedicenti guru e motivatori, grazie all’applicazione di tecniche più o meno evolute di PNL (Programmazione Neuro Linguistica), si propongono a platee sconfinate di seguaci prima sedotti… e poi spesso abbandonati.
Intendiamoci, nulla in contrario rispetto a questo genere di attività che, visto il numero di seguaci ed il successo commerciale che riscontrano ormai da anni, ci lasciano dedurre che hanno un loro senso… ma attenzione, non chiamiamo neanche questo coaching.

Il coaching è ben altro, il coaching è un metodo che ha alcuni criteri fondanti ben precisi e che noi ritroviamo nel confronto con i coach e le società di coaching schierati dalla parte del cosiddetto Evidence-Based Coaching, un movimento che nasce all’interno di una comunità scientifica composta da docenti universitari, ricercatori, coach professionisti che, con ricerche, esperimenti, riviste e convegni internazionali intende far crescere il coaching in ambito scientifico.

Tornando al nostro titolo e lasciando cadere la provocazione dunque, riteniamo che la PNL, in quanto disciplina che “offre tecniche specifiche con le quali il programmatore può vantaggiosamente organizzare o riorganizzare la propria esperienza soggettiva o le esperienze di un cliente per definire, e successivamente conseguire, qualsiasi risultato comportamentale” (R. Dilts, J. Grinder, R. Bandler, L. Bandler, J. DeLoizer, Programmazione Neuro Linguistica, Astrolabio, 1982) possa in alcuni casi essere uno strumento utile per creare una relazione efficace con il cliente. Tuttavia, nel momento in cui questa disciplina viene utilizzata per orientare il coachee verso una determinata direzione o per stimolarlo ad acquisire un certo tipo di atteggiamento attraverso tecniche di comunicazione manipolatoria, allora ci fermiamo e non siamo disposti a procedere in questa direzione, perché questo non è coaching!
In realtà ci discostiamo anche da tutti coloro che non ritengono utile approfondire le proprie conoscenze riguardo alle tematiche della comunicazione perché considerate superflue o prive di interesse, posizionandoci esattamente nel mezzo rispetto a questi due approcci.
Da una parte, dunque, riteniamo che il coach debba conoscere il funzionamento della comunicazione umana, debba utilizzare l’ascolto attivo e considerare i canali comunicativi, debba frequentare con il suo sapere tutti gli ambiti della comunicazione perché sarà proprio attraverso le dinamiche di interazione comunicativa che andrà a costruire il suo rapporto efficace con il coachee. Dall’altra, il coach deve attenersi alle linee guida che indicano nel coaching un metodo ben preciso di relazione di aiuto, basato su una relazione “alla pari” (non tra soggetti che si inseriscono all’interno di una dinamica guidato-guidatore), sull’individuazione e sull’allenamento delle potenzialità (e quindi non sul colmare le mancanze rilevate dal coach) per il raggiungimento di obiettivi di cambiamento/miglioramento autodeterminati dal coachee (non ipotizzati dal coach e/o da lui stesso ritenuti utili ed opportuni al cliente) e realizzati attraverso un piano d’azione stabilito.
Dunque, senza i presupposti di vera autonomia e autodeterminazione, di piena responsabilità e consapevolezza del coachee vediamo difficile riconoscerci il metodo del coaching, che non può avere una guida esterna al cliente, un mentore che attraverso una relazione non “alla pari” (quindi complementare anziché simmetrica) indica la “giusta via da seguire per il bene dell’altro”.

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