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Si può insegnare la bellezza?

Il mio sogno è fare l’estetista. Mia mamma aveva un negozio in città. Aveva i muri con la carta da parati. Quando finivo la scuola mi portava nel suo regno, come lo chiamava lei, e io ero felice. Guardavo le donne belle che andavano e venivano, parlavano ore dei loro problemi e delle loro ansie. Lei ascoltava, dispensava consigli e le faceva sentire a casa. “Mamma, sono tue amiche?” Le chiedevo io, rapita. Lei rideva. “No Giulia son clienti ma il cliente deve essere come un amico, ricordatelo sempre. Deve scegliere te non solo perché sei l’estetista migliore.”.
Devo ringraziare quei giorni con lei se ho capito cosa volevo fare: avrei aperto un negozietto piccolo che sarebbe stato tutto mio. Ho trascorso gli anni aggrappandomi al mio sogno. Decisi di cercarmi una scuola professionale, avrei realizzato la mia aspirazione. Era facile, avrei trovato la migliore di tutta la città. La prima volta che entrai in quella che sarebbe diventata la mia seconda casa per 3 anni mi sentii elettrizzata. Vidi tante persone che parlavano, si confrontavano, si interrogavano, si scambiavano trucchi. Era proprio il mio posto ideale. Sarei diventata un operatore per le cure estetiche alla persona. Diceva così la scritta che troneggiava sulla targa appesa alla porta d’ingresso. Mia madre sarebbe stata fiera di me, ne ero sicura.
Me lo ricordo bene il giorno in cui cominciai ad assaggiare la realtà. Era amara. “Ancora una volta lo stesso argomento. Siamo ormai tre mesi fermi sulla stessa cosa. Smalto. Ancora smalto. Abbiamo capito cos’è e abbiamo imparato ad applicarlo. Perché continuiamo a fare la stessa cosa?”. Silvia frequentava il secondo anno della scuola e aveva gli occhi sempre stanchi. La conoscevo perché abitavamo vicine e alla fine delle lezioni facevamo la strada insieme. “Ma come Silvia? Anche io sto facendo o smalto e sono al primo anno..ma serve, guarda che serve!”. Lei scuoteva la testa, mi guardava e non parlava.
“Tanto è inutile, tu credi ancora alle belle favole. Invece, basta pagare, ti prendi il pezzo di carta e sei abilitata a fare l’estetista…”. Io non ci credevo, cosa c’entravano i soldi? E il pezzo di carta, come lo chiamava lei, attestava la bravura, non era mica facile averlo. Non avevo dubbi. “Ti sbagli, Silvia. I docenti sono preparatissimi. Certo, la signora Bianchi si è soffermata sei mesi sulla permanente, ma alla fine bisogna imparare le basi dell’acconciatura…” “Giulia ma tu dove vivi? Io frequento la scuola da più tempo di te ma penso che si veda subito come…funziona. Gli insegnanti non mi sembrano professionisti, è tutta teoria, la maggior parte non ha mai lavorato veramente nel settore..” E, mentre lo diceva, si vedeva che aveva perso la passione, che si era dimenticata l’entusiasmo.
Arrivate a casa ci salutammo. Ricordo bene che quella notte feci fatica ad addormentarmi: i sogni fanno rumore quando vanno in pezzi e ti tengono sveglia. Ma io ancora non lo capivo davvero, infatti la mattina dopo pensai che non avrei più ascoltato Silvia. Avrei pensato con la mia di testa e basta. Decisi comunque di mettere alla prova ciò che aveva detto Silvia. Iniziai ad accostarmi agli insegnamenti con maggior spirito critico. La Prof Bianchi quella sera in classe sembrava di pessimo umore. La situazione peggiorò quando entrò l’insegnante di anatomia, Pietro Giorgi. La Bianchi non smise di parlare, “il valore massimo di pH è 11, i cosmetici..”, fu subito interrotta da Giorgi che la guardò con sguardo torvo e come tutte le persone che non sanno bisbigliare, lo sentimmo tutte. “Ma cosa dici? Guarda che il valore massimo del pH è 14..”. La Bianchi cominciò a tirarsi giù il golf ossessivamente, come faceva sempre quando stava per esplodere.
“Perdonami eh, perdonami ma questa è la nostra lezione. Perdonami eh..”. Lui diede uno sguardo veloce alla classe, scosse piano la testa e senza dire una parola se ne andò. La Bianchi, senza smettere di allungarsi il maglione, sempre più tesa si mise a gridare contro di noi: “Ma vi rendete conto come siamo ridotti? Capite com’è la gente, la gente non sta bene! Mia madre quand’era viva pagava la filippina molto più di quanto mi pagano all’ora in questo sch.., in questo posto e io devo pure imparare i valori del pH , devo. Siamo alla follia, siamo. La qualità dell’insegnamento si può dare quando viene pagata, cosa si aspettano? Io sono stufa!”.
Gli anni passarono e arrivai al termine del mio percorso di studi. Mi ripeto ogni giorno che ce l’ho fatta, sono diventata un’estetista: ho l’attestato, posso lavorare in libertà e aprire il negozietto che tanto sognavo. Mi ripeto ogni giorno che mi devo accontentare, ho capito che funziona così, che tanto non si può trovare qualcosa di diverso, qualcosa che ti regali l’entusiasmo di imparare davvero il mestiere di tua madre. E mi copro gli occhi e le orecchie per raccontarmi che non è così, che io ho l’attestato, che io ho frequentato una scuola che ha l’attestato di qualità, l’Iso 9001 e quindi non posso fallire.
Mia madre sta per chiudere, è arrivato un vicino di negozio, si chiama Chao lin, una manicure la fa per 3 euro e 50. Non c’è più concorrenza e molte persone per risparmiare se ne infischiano dei controlli e della qualità e ci vanno. Ma io non voglio arrendermi, devo continuare a credere che il pezzo di carta che Silvia denigrava a qualcosa servirà. Magari non oggi ma un domani.
Ogni tanto ripenso all’esame finale. Silvia se ne stava all’ingresso della classe e mi guardava, aveva lo sguardo stanco anche quel giorno e gli occhi lontani. Venni promossa e con me tutti gli altri alunni, tutti. Ci fecero i complimenti, anche il direttore della scuola era venuto. Sembrava vestito come per andare a un matrimonio e ci guardava compiaciuto “le mie creature”, diceva. A me strinsero persino la mano, tutti e 7 i docenti, compreso lui. Ero eccitata. Si stava aprendo il mio mondo. Uscii dall’aula salutando Silvia con un cenno del capo, potevo essere buona anche con lei ora, io ormai avevo l’attestato.
“Ciao Silvia, hai visto che ce l’ho fatta? Siamo passati tutti, siamo stati bravi!” Non dimenticherò mai i suoi occhi che per la prima volta da quando la conoscevo, si accesero. “Non ti svegliare mai Giulia, non ti svegliare mai.”.

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