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Le autorità politiche e monetarie dei Paesi occidentali sostengono che l’economia è in ripresa sia negli Stati Uniti sia in Europa. Si tratta veramente di una ripresa oppure solo di una stabilizzazione dell’economia su bassi livelli dovuta essenzialmente alle eccezionali misure fiscali e monetarie dei governi’«Vanno moltiplicandosi i segnali secondo cui la ripresa è duratura e potrà continuare anche nel momento in cui gli stimoli fiscali ed economici saranno gradualmente ritirati. Ad esempio, negli Stati Uniti si delinea un trend di creazione positiva di posti di lavoro (le occupazioni temporanee, che rappresentano un indicatore anticipatore, evidenziano un andamento di crescita già da diversi mesi). L’aumento del tasso occupazionale dovrebbe generare una sua propria dinamica di crescita, a prescindere dagli stimoli governativi. Un ulteriore segnale positivo è il fatto che l’equilibrio tra spesa e reddito delle famiglie statunitensi (e del Regno Unito) si sta spostando verso un livello più sostenibile. Lo studio condotto dalla BCE sugli istituti bancari evidenzia che l’accesso da parte di questi ultimi ai fondi mutuabili sta migliorando per la prima volta dall’avvento della crisi. Attualmente le scorte in eccesso si sono ampiamente ridotte. Le finanze dei maggiori Paesi emergenti di Asia e America Latina sono state colpite in misura limitata dalla crisi e, di conseguenza, la domanda al consumo ha evidenziato un’accelerazione, tanto che l’aumento delle vendite di veicoli ha ampiamente compensato la contrazione registrata nei Paesi sviluppati».Attualmente sono in corso discussioni per trovare una strategia d’uscita (exit strategy). Se queste misure venissero man mano sospese, non esiste il concreto rischio di una ricaduta in recessione’«Se la exit strategy dovesse essere messa in atto troppo presto o in maniera troppo drastica, essa potrebbe riportare l’economia nella spirale della recessione – ma, d’altro canto, agire troppo tardi può condurre al surriscaldamento dell’economia e all’inflazione. Questo è il dilemma che affrontano i politici in ogni periodo di ripresa economica. I dati indicano con frequenza sempre maggiore che la ripresa è autosostenibile, tanto che il momento attuale appare idoneo per iniziare a muoversi nella direzione di una exit strategy».Il debito pubblico sta esplodendo ovunque. È sostenibile il livello di indebitamento pubblico di Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna che devono ricorrere all’aiuto di investitori esteri’«Il livello del debito pubblico negli Stati Uniti e in Gran Bretagna e in altri grandi Paesi, già molto alto e in ulteriore crescita, non appare sostenibile. Gli investitori in attività finanziarie osserveranno molto da vicino gli sviluppi politici e macroeconomici in questi Paesi e se la volontà politica di ridurre il deficit sembrerà insufficiente, il prezzo dei titoli di Stato e delle valute di questi Paesi probabilmente scenderà. La recente esperienza della Grecia evidenzia ciò che può effettivamente accadere».Il dollaro americano e la sterlina britannica non potrebbero essere i primi indicatori della crisi di fiducia nei confronti dei titoli di Stato statunitensi e britannici’«È probabile che i mercati valutari e obbligazionari si indeboliscano più o meno allo stesso tempo».In Eurolandia è esploso il caso Grecia. Non vi è il rischio che i Paesi periferici europei (Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda) dovranno adottare politiche fiscali restrittive per evitare un aumento degli spread sui loro titoli pubblici che avrebbe conseguenze negative sulle loro economie’«Questi Paesi devono adottare delle politiche fiscali restrittive per stabilizzare i loro mercati del debito pubblico. L’Irlanda ha già annunciato delle misure incisive in questo senso, la Grecia ha intrapreso alcuni passi sebbene non sia chiaro se siano o meno sufficienti, la Spagna ha iniziato a prendere provvedimenti, mentre il Portogallo ha palesemente meno da fare su questo piano. È probabile che queste misure rallenteranno in una certa misura tali economie (anche se la teoria economica evidenzia che potrebbe essere registrato almeno uno stimolo di compensazione parziale, in quanto l’affievolirsi della minaccia di una crisi stimola un clima di fiducia). Anche se queste economie dovessero effettivamente rallentare, esse sono relativamente piccole nel contesto europeo e globale, perciò è improbabile che facciano fallire una ripresa economica più ampia a livello internazionale».I mercati finanziari hanno chiuso il 2009 in piena euforia. Questa eccezionale performance non è sostanzialmente dovuta all’enorme liquidità in circolazione’«I mercati finanziari si sono rafforzati in modo marcato per buona parte del 2009, ma partivano da livelli eccezionalmente bassi. A fine 2009, le valutazioni dei titoli azionari sui principali mercati apparivano perlopiù prossime al fair value piuttosto che a valori elevati e il Risk Appetite index del Credit Suisse non ha raggiunto la zona di euforia . Il recupero messo a segno dalle borse è stato certamente aiutato da ingenti quantità di stimoli finanziari forniti dalle autorità, ivi incluso il basso livello dei tassi di interesse – ma questi fattori hanno anche reso possibile un miglioramento dell’economia sottostante e ciò a sua volta ha contribuito a giustificare la crescita dei mercati».Come si prospetta il 2010 per le borse europee’«Sono perlopiù ottimista per quanto riguarda la direzione seguita dai mercati azionari europei nel 2010. Questa previsione si basa sulle mie aspettative di una prosecuzione dell’espansione economica e sulla view secondo cui i mercati, già prossimi al fair value, tendono a negoziare sopra questo livello nei periodi di ripresa. È tuttavia probabile che la portata di un possibile aumento sarà molto più contenuta rispetto a quanto osservato nei nove mesi precedenti, durante i quali i prezzi sono rimbalzati a partire da livelli ben inferiori al fair value. Peraltro, un eventuale trend rialzista potrebbe essere molto più erratico e potenzialmente esposto a periodiche e significative battute d’arresto, non da ultimo quando i mercati inizieranno ad anticipare imminenti aumenti dei tassi d’interesse».Un’ultima domanda: il mondo finanziario ha ripreso ad operare come nei periodi precedenti alla crisi. Non si stanno creando le condizioni, come teme la Banca dei regolamenti internazionali, di una crisi ancora più grave di quella dell’autunno del 2008′«Molto spesso le misure adottate per risolvere una crisi gettano le basi della successiva. È quello che sembra sia successo dopo lo scoppio della bolla DotCom nel 2001 – 2003, quando tassi d’interesse molto bassi hanno aiutato a mitigare gli effetti della recessione, ma hanno anche alimentato il boom creditizio e degli immobili residenziali, giunto poi al capolinea con il crollo del 2007 – 2008. Sussiste un pericolo molto concreto che gli attuali stimoli finanziari e fiscali, compresi i tassi d’interesse estremamente bassi, diano gradualmente adito a nuovi squilibri ed eccessi e che questi sfocino nel corso del tempo in una nuova crisi, anche se è probabile che ciò accada solo tra diversi anni».Alfonso Tuor
Tags: banca, Credit Suisse, finanza, private banking, ripresa
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