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Le barche l’uomo e il mare rifelssioni sull’andare in barca

Il mare e
la barca
rappresentano da sempre un connubio inscindibile e quasi
automatico nel pensiero e nell’immaginario comune.

Ad un’analisi più approfondita però i due concetti possono assumere
significati molto diversi quasi complementari ed opposti; il mare vasto
aperto e senza confini per eccellenza se non l’orizzonte è il regno
della scoperta della conoscenza dell’esplorazione.

La barca
d’altro canto è per definizione un luogo chiuso e limitato; il sottile
strato di fasciame la isola dall’esterno facendola divenire una sorta di
microcosmo, un isola in movimento, un mondo autonomo con le sue leggi e
le sue peculiarità.

I rapporti e i legami che uniscono il mare alle barche possono essere
diversi e molteplici in funzione dei diversi significati che gli si
attribuiscono, delle considerazioni di base e dei periodi storici.

Se pensiamo ai tempi passati, in particolare all’epoca dei viaggi e
delle scoperte, la barca è uno strumento e il mare uno spazio con cui si
è costretti a misurarsi e lottare per poter scoprire nuove terre
commerciare o combattere.

La vita in mare è un mestiere spesso triste e duro che spesso non si
può scegliere e che rappresenta l’unico mezzo di sostentamento per
uomini e donne nati lungo le sue sponde.

Solo più tardi, durante il Romanticismo e in concomitanza con il
nascere dei grandi
velieri, la barca inizia ad assumere significati diversi cominciando
ad assumere il ruolo di “specchio delle opinioni e delle inquietudini
dell’uomo”; la navigazione di venta un arte e il confronto con il mare
diventa un duello romantico fra uomo e natura, il luogo ideale per un
processo di formazione del carattere e maturazione indivuduale.
Dal punto di vista letterario il periodo “dei grandi velieri” è ancora
oggi il perido storico preferito da libri e romanzi che parlano di mare
e di navi.http://mondidelsilenzio.altervista.org/index.html

Con l’evolversi dei proessi tecnologici e la nascita dei
transatlantici e delle navi moderne la connotazione romantica e
romanzata di mari e barche sparisce nuovamente e il mare torna ad essere
un logo di lavoro, un ambiente in cui viaggiare per
diletto o necessità e per emigrare in cerca di fortuna.

Il sapore della sfida, del confronto fra l’uomo la barca e il mare si
sposta allora sulla piccola imbarcazione da diporto e diviene sempre di
più un esperienza “introspettiva” riservata a pochi eletti o ribelli
che a bordo di piccole imbarcazioni a vela partono per lunghe
navigazioni da soli o con equipaggi estremanente ridotti.

La barca
diventa il luogo dove l’uomo si rivela a se stesso cerca la propria
identità in un mondo i cui valori gli sono sempre più estranei, un
piccolo universo in cui si può essere totalmente liberi, padroni di se
stessi e della propria vita in cui poter affermare la propria libertà e
realizzare il sogno.

La barca diventa lo strumento per scoprire, vivere e conoscere
veramente il mare. Una sottile ma significativa linea di confine divide
fra chi ha visto il mare soltanto dalla terraferma trasfigurato
dall’immaginazione da chi lo ha vissuto e incontrato direttamente.

Alessandro Baricco in Oceano-Mare definisce le barche come gli occhi
del mare. Mi piace molto questa definizione e questo accostamento che
però, preferisco ribaltare, definedo le barche come gli occhi attraverso
cui gli uomini possono vedere veramente, incontrare e
conoscere il mare.

Il rapporto fra uomo barca e mare può diventare complesso e molto
profondo tanto che molti velisti arrivano ad attribuire alle loro
barche un’anima e a considerarle compagne con cui vivere il rapporto con
il mare amico, fratello e rivale.
Varcare la soglia della terraferma e oltrapassare il confine fra terra e
mare può rappresentare per l’uomo una profonda trasformazione mentale e
“spirituale”.

Lasciandosi catturare dal fascino della navigazione alcuni possono
arrivare a provare quella “divina intossicazione della prima lega in
mare aperto” di cui parla in una delle sue poesie Emily Dickinson.

Un termine un pò forte ma forse veritiero che descrive molto bene
quel senso di esultanza di gioia pure che sperimenta un’anima vissuta in
terra ferma quando entra in contatto con la profonda eternità del mare.

Una sensazione sperimentata personalmente alcuni anni fa e che vedo
spesso ricomparire sui volti delle persone che si imbarcano per la prima
volta o che a volte traspare dai Diari di Bordo e dai
racconti.

La poesia di Emily Dickinson si chiude però con un interrogativo: il
marinaio, lo skipper, colui che ha ormai esperienza e consuetudine con
gli imbarchi, è ancora capace di provare quella “divina intossicazione” ?
Personalmente penso di si e spero sia così per tutti coloro che
navigano e vanno per mare per diletto o professione.

Per quanto si possa aver navigato e si conosca o si pensi di
conoscere il mare non è possibile non sperimentare, ogni volta che si
salpa, un senso di stupore e di gioia che deriva dal contatto con il mare il suo
mistero e le sue profondità.
Un’esperinza spirituale e profonda che ogni volta spero di riuscire a
trasmettere e condividere attraverso i racconti e i diari di bordo.

Exultation is the going
Of an inland soul to sea,
Past the houses-past the headlands-
Into Deep Eternity

Bred as we, among the mountains,
Can the sailor understand
The Divine intoxication,
Of the first league out from land ?

(Emily Dickinson, 1980)
Per un anima cresciuta in terra ferma / esaltazione è l’andare / di là
dalle dimore e i promontori / immergendosi nel’eternità !
Chi più di noi, che crescemmo fra le montagne,/ può forse il
navigatore godere / la divina ebbrezza (intossicazione) del primo miglio
lontano da terra ?

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