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Nelle Librerie Mondolibri e sui siti del Club il romanzo vincitore del Supercampiello 2011.

Non tutti i bastardi sono di Vienna di Andrea Molesini: un grande affresco storico sulla guerra, sulla passione, la dignità e il patriottismo ambientato nei mesi decisivi della battaglia sul Piave.

Un premio meritato
Un premio a sorpresa, tanto inaspettato quanto meritato questo Supercampiello 2011 assegnato ad Andrea Molesini, scrittore veneziano, docente universitario, già apprezzato traduttore dall’inglese e dal francese e autore di libri per ragazzi, ora all’esordio nella narrativa con questo romanzo, Non tutti i bastardi sono di Vienna. Titolo diretto ed efficace, anche perché – come sottolinea l’autore in un’intervista – «è un endecasillabo e suona bene».

Romanzo di guerra e non solo

Nei giorni immediatamente successivi alla disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917) a Villa Spada, dimora patrizia nella pianura veneta del Piave, si insedia un comando tedesco i cui soldati si rendono subito protagonisti di un episodio di inaudita violenza nei confronti di alcune ragazze del contado, proprio all’interno della chiesa del paese. Non sono solo vendetta, orgoglio, dignità e disprezzo a scatanere e a dar l’avvio alle vicende del romanzo. Piano piano in tutti i protagonisti si insinua un senso di patriottismo e d’onore, mescolato alla passione, all’odio e all’amore personali che sullo sfondo dei mesi decisivi per le sorti della Grande Guerra mettono in scena uno spettacolo di grande effetto e suggestione. Merito tutto dell’abilità di Molesini nel tratteggiare e far muovere i personaggi di questo intrigo di guerra, un po’ complotto patriottico e un po’ romanzo di formazione, sì anche questo.

Una straordinaria galleria di personaggi

Il protagonista narratore è infatti un ragazzo di diciassette anni, Paolo, orfano di entrambi i genitori, cresciuto dai nonni nella bella villa di famiglia. Nonno Guglielmo, un eccentrico liberale e mangiapreti, le cui giornate trascorrono a scrivere un romanzo di cui nessuno ha mai letto un rigo, o a inviare lettere al «Gazzettino», mai pubblicate perché ornate di insulti. E poi c’è nonna Nancy, italo-inglese, colta e ardita, una «pantera canuta» che mette a frutto le sue straordinarie doti matematiche nell’elaborare un codice per il servizio di informazioni contro il nemico; e la zia Maria, affascinante e altera, così fiera da attirare e respingere gli uomini in egual misura: è lei che regge la casa e sarà lei a insinuarsi, se non nel cuore almeno nel rispetto del barone austriaco che succede ai tedeschi nell’occupazione della villa. E la servitù: la cuoca Teresa, brutta come non mai, ma forte e cocciuta, di saggezza contadina; e Loretta sua figlia, strabica, belloccia e un po’ tonta, con occhi offesi che sanno solo odiare, e si vedrà quanto; infine Renato, il custode appena giunto alla villa, personaggio misterioso che non è lì per fare solo il custode. E infine c’è Giulia, bella e fiammeggiante, di passione e di capelli, rifugiata in campagna da Venezia dopo uno scandalo di cui tutti mormorano, e della quale Paolo presto s’innamora. Perché, in fondo, questa è la storia dell’educazione sentimentale – e vitale – di un giovanotto di diciassette anni che ha avuto la fortuna di essere nato nel 1900 e non nel 1899, evitando così il fronte ma non l’impegno, l’onore e nemmeno la viltà… E c’è anche il nemico, il bastardo – che dell’epiteto nel romanzo non ha comunque l’esclusiva. Come vedete una galleria di personaggi assolutamente da conoscere e da scoprire, da seguire nella narrazione di quei mesi cruciali per la storia d’Italia che Molesini sa scolpire con eccellente intensità.

La guerra è sempre stata “argomento di canto”

Alla fine l’autore non cede nemmeno alla lacrimosa storia d’amore – che aveva indotto in tentazione lo stesso Hemingway di Addio alle armi, per restare a un romanzo con ambientazione affine: in questo romanzo di guerra anche l’amore non può essere che “amore di guerra”. D’altronde, senza la guerra – come già dicevano Omero ed Eraclito – c’è ben poco da raccontare; ed è vero: la guerra racconta sempre qualcosa di drammatico e drammatizzabile e anche se la sua “inevitabile fine” e la vittoria degli uni sugli altri diventano una festa, con la fine non termina il dolore e non si cancellano le ferite, che servono alla memoria per rigenerarsi e a chi scrive per trovar “argomento di canto”. Come dice in un bellissimo e intenso passaggio del romanzo donna Maria al nipote Paolo, nel racconto non è la fine a dare “sapore”: «io non leggo per sapere come va a finire… quel luccichio che mi acceca lungo la strada, è quello che mi piace». La guerra, così come il viaggio e la lettura, non vorrebbero mai arrivare a una meta.

Romanzo classico
Molesini ci lascia quindi un grande affresco storico, un romanzo d’altri tempi, quei tempi in cui il romanzo respirava aria europea – in questo stretto caso “mitteleuropea” vista l’ambientazione del romanzo e le atmosfere narrate. E affida la vicenda a una scrittura ardita e di nobile consistenza che fa delle descrizioni puntuali e dei dialoghi serrati il proprio punto di forza, il cuneo attraverso il quale la lettura si insinua nell’animo del lettore e non lo lascia più, o meglio: vi lascia, vi deposita qualcosa di rimarcabile.

www.mondolibri.it

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