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Investimenti da ricchi: famiglie della buona borghesia, imprenditori medi e piccoli…

Investimenti da ricchi: famiglie della buona borghesia, imprenditori medi e piccoli, manager affermati, gente
con in tasca non meno di dieci miliardi e la voglia di rischiare una fetta di patrimonio in cambio di possibili
guadagni a due e tre cifre.
Ma non solo. Il boom della new economy e la nascita di tante start up ha rilanciato i
fondi mobiliari chiusi di venture capital e private equity, che investono in societa’ non quotate, le fanno
sviluppare e poi le vendono, quotandole in Borsa o cedendole ad altri imprenditori, e realizzando spesso grossi
guadagni.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati le societa’ e i prodotti sul mercato.
Ma, soprattutto, l’investimento in fondi chiusi, strumenti rischiosi si’ ma capaci di elevati rendimenti, ha attirato l’ attenzione di
un pubblico piu’ vasto di risparmiatori, magari un po’ meno facoltosi, che in molti casi si mettono insieme tra
amici, scommettendo anche solo 100 milioni a testa sulla crescita e il successo di
societa’ non quotate.

ANOMALIA ITALIANA
Un fenomeno molto italiano, anomalo nel panorama internazionale, dove i sottoscrittori di fondi chiusi sono soprattutto
gli investitori istituzionali (banche, fondi,pensione, assicurazioni).
Ma, complice l’ impostazione della prima legge italiana del settore, approvata nel
1993, che aveva voluto e disegnato questo tipo di fondi come strumento retail, una buona fetta degli
investimenti fatta in Italia in fondi di diritto nazionale o estero arriva proprio dai risparmiatori privati: tra il
1996 e il 1998, per esempio, hanno pesato per il 24%, secondi solo alle banche (40%), mentre in Europa erano
al quinto posto con una quota del 7%.
I mercati del venture capital e del private equity in Italia sono dunque in pieno e serrato sviluppo.
E i dati lo confermano: nel primo semestre del 2000, secondo le indagini dell’ Aifi (l’Associazione italiana degli
investitori istituzionali nel capitale di rischio), gli investimenti hanno superato i
2.500 miliardi di lire, in aumento del 119% sui primi sei mesi del ‘ 99, un anno che aveva gia’ segnato un boom
sui 12 mesi precedenti.
Un’ effervescenza che ha un ulteriore riscontro nel lancio di tanti nuovi fondi chiusi, di
cui molti rivolti anche a investitori privati.
E nell’ annuncio di altri che vedranno la luce nel 2001.
In molti casi si tratta di prodotti di diritto italiano, ora che le nuove norme, dal Testo unico della finanza (del 1998) in poi,
hanno reso le regole piu’ flessibili: niente piu’ divieto di assumere quote di maggioranza nelle aziende, ne’
obbligo di detenere il 20% del capitale raccolto investito in strumenti di liquidita’ (uno degli elementi che
contribuivano in maniera determinante a ridurne il guadagno).
Ma soprattutto e’ ora prevista la possibilita’ di collocare non solo fondi retail, destinati per definizione alla clientela
privata, ma anche fondi riservati a investitori qualificati: imprese di investimento, banche, fondi pensione, assicurazioni,
e anche persone fisiche e societa’ in possesso di specifiche competenze di investimento che devono essere dichiarate per iscritto.
Ma c’ e’ ancora chi sceglie il veicolo estero, se non altro perche’ non e’ soggetto alla tassazione interna (il 12,5% sugli
interessi maturati, il 27% se si tratta di partecipazioni qualificate: sopra il 50% in aziende non quotate).
“Il settore e’ in grande sviluppo”, conferma Anna Gervasoni, direttore generale dell’ Aifi, “e quasi certamente le
principali banche italiane lanceranno nuovi fondi nel corso del 2001″.
Mentre Ubaldo Livolsi, di Livolsi & Partners, che nel suo fondo Convergenza ha coinvolto investitori istituzionali e privati, propone una
riflessione: “Finalmente si e’ capito che per avere un sistema efficiente bisogna ricorrere a tutti gli strumenti di
investimento disponibili”, sostiene. “Con la costituzione del Nuovo mercato si e’ pensato di poter portare in
Borsa anche aziende appena nate, offrendo ai risparmiatori inconsapevoli titoli ad altissimo rischio.
Mentre questo e’ un lavoro per i venture capitalist”. BOOM DI NASCITE Tra gli ultimi prodotti offerti sul mercato, ha
appena chiuso le sottoscrizioni, in anticipo di quasi un anno sul previsto, Impresa 2000, il secondo fondo
chiuso di Arca impresa (la prima societa’ a lanciare un fondo di diritto italiano nel 1995), che prevedeva una
quota minima di 100 milioni di lire e ha attirato circa il 10% di privati (il primo da 80 miliardi conta invece
circa 600 investitori).
“L’ obiettivo era una raccolta di 200 miliardi e in otto mesi l’ abbiamo raggiunto”,
racconta l’ amministratore delegato Giuseppe Turri, “quindi abbiamo chiesto alla Consob la chiusura
anticipata. Inoltre, stiamo studiando un nuovo fondo dedicato alla new economy che dovremmo portare in
sottoscrizione nel 2001″. Interbanca gestione investimenti, societa’ di gestione controllata da Interbanca spa (di
cui e’ amministratore delegato Giorgio Cirla), ha invece in sottoscrizione il suo secondo fondo, Interbanca
investimenti 2, che ha l’ obiettivo di raggiungere i 150 miliardi di raccolta e di essere operativo entro la fine del
2000. Mentre la Banca popolare di Bergamo, dopo tre anni di attivita’ nel private equity con la societa’ Bpb
investimenti (insieme a un gruppo di industriali locali), ha deciso di lanciare un fondo chiuso di diritto italiano
nei primi mesi del 2001: “Si chiamera’ Sviluppo impresa”, rivela Ferruccio Carminati, amministratore delegato
di Sviluppo impresa sgr, la societa’ di gestione del fondo, “punta a una raccolta di 100 150 miliardi di lire,
dovrebbe avere un taglio minimo di 250 300 milioni ed e’ rivolto a investitori qualificati, ovvero istituzionali
ma anche privati con patrimoni consistenti e alta propensione al rischio, raggiunti attraverso la rete di sportelli
del gruppo.
L’ intenzione e’ di farne un fondo generalista, che ha come target di investimento la media impresa”.
Due nuovi fondi, entrambi di diritto italiano, per Sofipa (gruppo Banca di Roma): il primo, Sofipa
equity (150 milioni di euro l’ obiettivo di sottoscrizione), e’ destinato ai privati, mentre Fondo Tevere (50
miliardi di raccolta) e’ riservato a investitori istituzionali (Regione Lazio e banche).
E anche Spiu’ R investimenti, societa’ di gestione del fondo Obiettivo impresa passata a luglio interamente
sotto il controllo di Rolo banca (prima era posseduta al 50% anche da Sofipa), porta in sottoscrizione a partire da novembre un
nuovo prodotto, Rolo imprese, che avra’ una raccolta doppia rispetto al primo fondo (era di 80 miliardi).
Argos Soditic e’ invece al quarto fondo Euroknights (di cui e’ l’ advisor), che investe in particolare nell’ area
meridionale dell’ Europa: “Abbiamo chiuso il primo closing a 106 milioni di euro, siamo gia’ a 150 e pensiamo
di terminare la raccolta a 200 milioni di euro a fine dicembre”, dice Raymond Totah, amministratore delegato
della societa’ in Italia.
“I nostri investitori sono istituzionali, soprattutto negli Usa, o famiglie con un reddito elevato, anche perche’ la soglia
minima di accesso e’ di circa 2 milioni di euro”.
Parte con una iniziativa importante, 400 miliardi di lire di raccolta, la nuova societa’ Alto partners: il fondo Fineco capital
ha una quota minima di circa 10 miliardi e prevede un primo closing a 180 miliardi per fine ottobre per chiudere a fine anno
con le sottoscrizioni totali.
Nel 2001 potrebbe inoltre partire il terzo fondo Chase Mittel capital, di cui e’ advisor e coinvestitore Private equity partners
(detenuta al 48% dal presidente Fabio Sattin, al 32% dall’amministratore delegato Giovanni Campolo e al 20% da Jp Morgan Chase Fleming, Mittel,
l’ olandese Nib capital e Iniziativa Piemonte di Carlo Callieri): “Sara’ sempre di diritto estero, molto piu’ grande dei due fondi
precedenti”, afferma Sattin, “con almeno 400 miliardi di raccolta, ma continuera’ a investire in operazioni
tradizionali di buy out ed expansion”.

VIA ALLA SPECIALIZZAZIONE
Si trasformera’ invece quasi certamente in fondo di diritto italiano da 300 miliardi e della durata di 10 anni
la societa’ di investimento olandese Wisequity (50% Seat, 50% De Agostini) e ne sara’ advisor Wise venture:
“Punteremo soprattutto sulle start up del settore high tech, in cui il rendimento e’ maggiore”, dice Michele Semenzato,
gestore del fondo insieme a Paolo Gambarini.
Sul settore bancario ha invece puntato Sella banking investment: “Il fondo investe in azioni e obbligazioni di istituti di credito e sim”,
racconta Massimo Scolari, direttore generale di Gestnord fondi. “Un settore che presenta elevati ritorni, soprattutto per quanto riguarda le attivita’ delle banche
virtuali e on line”.
E la strada della specializzazione l’ ha scelta anche il fondo Opera (promotore al 50% e’Bulgari),
che investe su aziende produttrici di beni e servizi caratteristici del made in Italy e dello stile di vita
italiano e ha riscosso un buon successo tra gli investitori: ha chiuso in anticipo la prima sottoscrizione da 140
milioni di euro, e ha portato l’ obiettivo di raccolta totale a 250 milioni da raggiungere entro fine anno. “Si apre
anche in Italia l’ era dei fondi specialistici”, sottolinea Renato Preti, promotore di Opera, “che consentono una
serie di vantaggi ma hanno caratteristiche di rischio a volte maggiori: in questi prodotti i privati che vogliono
investire devono avere tali disponibilita’ da sembrare investitori istituzionali”.

A CHI CONVIENE
Tante iniziative a portata di mano, d’ accordo. Ma chi puo’ avvicinarsi ai fondi di venture capital e private equity?
“Il fondo chiuso e’ tipicamente un investimento da istituzioni o da privati ricchi, perche’ e’ piu’ a rischio, anche se
vantaggioso, e non e’ liquido”, taglia corto Pier Domenico Gallo, presidente di Meliorbanca e dal ‘ 91 nel
mondo del venture capital, che con la Gallo & C. e’ oggi advisor di molti fondi, da Ducato venture a Kiwi 1, a
Investitori associati I e II.
E anche Gianmaurizio Argenziano, presidente di Eptaventure, ritiene che “il privateequity sia un tipo di investimento
piu’ adatto a investitori istituzionali”.
“Se un risparmiatore privato se la sente, ha un patrimonio sufficiente, una giusta propensione al rischio, perche’ non dovrebbe farlo ?”,
si chiede pero’ Edoardo Lecaldano, numero uno di Alice ventures che gestisce il fondo Mb venture capital, che e’ pero’ aperto
esclusivamente a investitori istituzionali (comprese comunque le societa’ finanziarie) con una soglia minima di
due milioni di euro.
Perche’ investire in fondi chiusi di venture capital e private equity e’ un modo per diversificare il proprio portafoglio,
anche e soprattutto in termini di rischio.
“Il risparmiatore privato ha giustamente la necessita’ di diversificare i suoi investimenti”, considera Livolsi.
Ed Enrico De Cecco, amministratore delegato di Sofipa, aggiunge: “Nel portafoglio di un investitore 100 milioni collocati in un
fondo chiuso sono un’ opportunita’ importante”. Anche perche’ , considera Gianfranco Ponti, del consiglio
direttivo di Fidia (presieduta da Sergio Pininfarina), “i fondi chiusi permettono di diversificare in aziende che il
risparmiatore non puo’ raggiungere con i normali strumenti finanziari”.
Si’ , ma qual e’ la giusta fetta del proprio patrimonio da investire in un’ attivita’ cosi’ a rischio come i fondi chiusi?
Qualcuno parla di una percentuale del 5%, esattamente quella destinata a strumenti del genere dai grandi fondi pensione americani.
Altri azzardano anche qualcosa di piu’ .
“Il risparmiatore deve prima di tutto aver coscienza che si tratta di un
investimento a rischio e puntarci una parte del suo capitale relativamente modesta, assolutamente non piu’ del
20%”, afferma Elserino Piol, di Pino Venture, sponsor dei fondi Kiwi.
“Noi ci rifiutiamo di accogliere chi ha
un capitale complessivo di 3 4 miliardi e vuole rischiarne uno in un fondo. Mi risulta invece che in alcuni casi
dietro organizzazioni finanziarie si nascondano gruppi di amici che hanno deciso di investire tutti insieme: a
noi quel che importa e’ di trovarci di fronte una persona pienamente responsabile dell’ investimento. Del resto
con lo sviluppo della new economy queste aggregazioni diventeranno sempre piu’ frequenti”.

RISCHI ELEVATI
Da soli o in compagnia, il punto e’ il livello di rischio che si corre – e che si e’ disposti ad accettare –
scommettendo sui fondi chiusi.
Perche’ deve essere chiara una cosa: con questi strumenti ci si puo’ anche bruciare e perdere anche tutto il capitale.
La possibilita’ d’ altro canto e’ pero’ di triplicare o ancor di piu’ il proprio denaro nell’ arco di una manciata di anni.
“Storicamente l’ attivita’ di private equity ha generato ritorni interessanti e sicuramente appetibili”, spiega Turri, “
e la redditivita’ generale dall’ investimento ha portato a rendimenti medi del 20% annuo composto negli ultimi dieci anni”.
I nodi critici sono soprattutto tre.
Prima di tutto, il pericolo di perdere il capitale deriva dalla natura stessa dell’ investimento sottostante,
perche’ si tratta di aziende che devono percorrere un piano di sviluppo strategico e che non sono quotate.
I fondi chiusi sono inoltre illiquidi per definizione, perche’ non hanno un vero mercato secondario.
“Sono strumenti che convengono a quegli investitori disposti ad aspettare”, rileva Claudio Garavaglia, amministratore
delegato di Bpc investimenti, “perche’ il problema della liquidabilita’ del fondo soprattutto nei primi tre anni e’ cruciale: a
meno di trovare personalmente un investitore disposto a rilevare la quota e’ impossibile disinvestire”.
Altrimenti non resta che affidarsi alla societa’ promotrice che, senza apparire, tentera’ di far subentrare un
terzo. In tutti i casi si tratta di una svendita a prezzi non convenienti. Infine, la durata.
L’ orizzonte medio puo’ arrivare a dieci anni, anche se oggi e’ possibile anche per i fondi di diritto italiano rimborsare
il capitale al momento delle varie dismissioni e quindi ridurre il tempo in cui il capitale e’ immobilizzato.
In genere i fondi funzionano a commitment: la societa’ di gestione, al momento della sottoscrizione delle quote, chiede agli
investitori un impegno a versare i soldi ogni volta che ce ne sara’ bisogno per effettuare un’ operazione (e con
un preavviso di una settimana o poco piu’ ).
Al momento delle varie dismissioni, il fondo puo’ restituire i capitali inizialmente versati per poi passare a maturare i guadagni veri e propri.
Il fondo Kiwi 1, lanciato a fine ‘ 98, ha per esempio gia’ restituito ai suoi sottoscrittori tutti i soldi versati, grazie al parziale disinvestimento di
Tiscali dopo la quotazione in Borsa: tutto quel che verra’ da ora in poi sara’ solo guadagno.
E anche il primo fondo Euroknights di Argos Soditic, partito nel ‘ 97, ha gia’ cominciato a restituire denaro ai sottoscrittori: il
rimborso sara’ totale nel 2001.
Bnl investire impresa, invece, potrebbe partire con rimborsi parziali dall’ ottobre
del 2004, mentre Enrico Palandri, direttore generale di Interbanca gestione investimenti, rivela: “Chiederemo
di modificare il regolamento del nostro primo fondo, Interbanca investimenti, lanciato nel 1998, in modo da
poter distribuire i proventi delle dismissioni”.

ATTENTI AL TEAM
Una volta presa la decisione di investire nei fondi chiusi, la questione diventa: quale prodotto scegliere ?
“Bisogna prima di tutto distinguere i due mondi”, sottolinea Piol.
“L’ attivita’ del private equity e’ rivolta ad aziende che gia’ esistono, hanno una storia, e
se il gestore del fondo e’ un professionista serio il rischio e’ minimizzato e prevedibile. I venture capitalist
invece investono in start up, piu’ interessanti ma anche piu’ rischiose, e a fronte di possibili ritorni elevati il
pericolo e’ di perdere anche tutto il capitale”. Tutti concordano pero’ su un aspetto: a fare la differenza tra un
prodotto e l’ altro e’ chi lo gestisce e decide gli investimenti. “Tutti i fondi riposano sulla solidita’ del team di
gestione, e questa regola vale ancor piu’ per i fondi chiusi”, afferma Gallo, “perche’ il mercato non esiste, visto
che si parla di investimenti in aziende non quotate. Il gestore deve essere molto bravo sull’ analisi
fondamentale, e deve sapere quando entrare bene e, soprattutto, quando uscire dai suoi investimenti”. E Sattin
concorda: “Prima di scegliere deve almeno leggere con attenzione il prospetto informativo e avere qualche
notizia sulle persone che scelgono gli investimenti, perche’ nel private equity c’ e’ una grande varianza di
rendimenti, c’ e’ chi fa il 200% l’ anno e chi ci rimette”. Un altro suggerimento arriva da Totah: “Non
consiglierei di investire in fondi molto grossi, perche’ quando si devono gestire molti soldi si corre il rischio di
scegliere anche investimenti non buoni”. E Stefano Scarpis, del team di gestione di Fineco capital, precisa: “La
dimensione ottimale e’ di 200 220 milioni di euro”.

IN BORSA
I fondi chiusi, come si e’ detto, hanno il difetto di essere illiquidi.
Proprio per tentare di superare il problema della liquidabilita’ la legge del 1993 aveva
previsto la quotazione dei fondi chiusi di diritto italiano dopo il loro terzo anno di vita.
Le nuove regole del 1999 hanno invece reso facoltativa questa opzione, anche se piu’ di una societa’ di gestione prevede di
avvalersene.
In realta’ la quotazione dei fondi chiusi non ha risolto il problema della liquidita’ delle quote.
I fondi trattati in Borsa fino a oggi (appena tre) hanno perso anche il 20 30% rispetto al collocamento, e questo
nonostante siano passati alcuni anni dal lancio sul mercato.
“E’ la natura sottilissima del titolo che non riflette il valore attuale netto della quota”, sottolinea Turri.
Le operazioni di compravendita in Borsa sono infatti scarsissime e anche uno dei fondi di maggiori dimensioni e con il
maggior numero di sottoscrittori come il fondo Prudentia di Fidia realizza una media di neppure 10 scambi al mese.
Secondo Ponti “il problema e’ in parte legato alla consistenza delle quote.
Frazionarle potrebbe allargare il mercato secondario e quindi portare a un innalzamento del valore di Borsa”.
Con le regole attuali infatti “l’ investimento in un fondo chiuso e’ assimilabile all’ acquisto di un titolo sottile di una societa’
quotata”, osserva De Cecco.
Il primo a presentare domanda alla Banca d’ Italia per il frazionameno e’ stato Obiettivo impresa, gestito da Spiu’ R Investimenti del
gruppo Rolo banca, le cui quote passeranno a partire dalla ‘ di novembre dall’ attuale valore nominale di
100 milioni a 10 milioni: “Abbiamo voluto dare un segnale forte per quanto riguarda la possibilita’ di liquidare
l’ investimento ai sottoscrittori, nel momento in cui stiamo per lanciare il nuovo fondo chiuso Rolo imprese”,
osserva l’ amministratore delegato Lori Malipiero. “Anche in assenza del frazionamento delle quote”,
suggerisce pero’ Scarpis, “potrebbe essere conveniente per gli investitori acquistare adesso, a prezzi bassi, i
fondi quotati che presentino una vita residua bassa, di circa 5 anni, e abbiano investito una percentuale
cospicua del loro patrimonio”. In questo modo i guadagni realizzati dal fondo con i disinvestimenti e non
evidenziati dal prezzo attuale della quotazione verranno realizzati dall’ investitore al momento della scadenza
naturale del fondo o di eventuali rimborsi intermedi.
All’ estero pero’ qualcuno e’ riuscito a creare un mercato secondario di fondi chiusi efficiente.
Sempre grazie al frazionamento delle quote. Per esempio, le investment company di diritto svizzero.
“Un fondo come A&A venture, che investe in start up del settore tlc, ha una quota di ingresso di 500 mila franchi svizzeri,
oltre un miliardo di lire, ma non appena sara’ quotato alla Borsa di Zurigo le partecipazioni verranno frazionate e avranno
un ammontare di mille o duemila franchi svizzeri”, osserva Marco Palacino, responsabile per l’ Italia dell’ asset management
della A&A actienbank.
E l’ efficacia del meccanismo elvetico della quotazione sul mercato secondario e’ dimostrata dal fatto che il fondo A&A
electricity, quotato a inizio anno alla Borsa di Zurigo, segna gia’ un incremento superiore al 30%. Tutte le
regole dei prodotti italiani Il fondo chiuso e’ promosso da una Sgr, ma la sua gestione puo’ essere in tutto o in
parte affidata a una societa’ advisor Il capitale sociale della Sgr (societa’ di gestione di risparmio) deve essere
di almeno un milione di euro.
Sono previste due tipologie di fondi chiusi: fondi retail, per il pubblico dei risparmiatori, e fondi riservati a investitori qualificati.
Sono definitivi investitori qualificati: imprese di investimento, banche, Sgr, sicav, fondi pensione, assicurazioni, fondazioni bancarie,
persone fisiche e societa’ in possesso di specifiche competenze, espressamente dichiarate per iscritto.
La raccolta deve avvenire in un’ unica emissione di quote, entro 18 mesi dalla pubblicazione del prospetto, o in piu’
soluzioni se il sottoscrittore si e’ impegnato a versare il denaro su richiesta della Sgr e in funzione delle esigenze di investimento
La durata massima del fondo chiuso e’ fissata in 30 anni, piu’ un’ eventuale proroga di 2 anni concessa dalla Banca d’
Italia (se prevista nel regolamento del fondo). Mediamente la durata di un fondo chiuso e’ pero’ oggi di dieci
anni Il fondo puo’ rimborsare anticipatamente ai sottoscrittori il capitale versato in occasione di disinvestimenti
che realizzano plusvalenze Il fondo non puo’ investire piu’ del 20% del patrimonio in strumenti finanziari non
quotati di una stessa societa’ e piu’ del 30% in strumenti di piu’ emittenti appartenenti al medesimo gruppo Il
fondo non puo’ investire piu’ del 15% del patrimonio in strumenti finanziari quotati di una stessa societa’ Il
fondo e’ soggetto a un’ imposta sostitutiva del 12,5% sui proventi netti della gestione (il 27% in caso di
partecipazioni di maggioranza) I sottoscrittori sono soggetti a un’ imposta a titolo definitivo del 12,5% sui
capital gain Le commissioni di gestione (management fee) dei fondi chiusi sono mediamente tra il 2% e il 3%
annuo del capitale che i sottoscrittori si sono impegnati a versare.
E’ prevista una remunerazione del team di gestione (carried interest) pari mediamente a circa il 20% dei capital gain del fondo.

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