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L’implantologia, dal neolitico ad oggi

L’usanza di sostituire i denti persi con impianti artificiali è antichissima e i primi reperti si pensa risalgano addirittura al periodo neolitico. Scavi archeologici hanno anche stabilito che antiche popolazioni, come quelle dei Maya e degli Egiziani ad esempio, utilizzavano conchiglie e pezzetti di avorio in sostituzione dei denti mancanti.
La prima pubblicazione sull’argomento risale invece al ‘500, quando Herman di Francoforte fece una delle prime comunicazioni sugli impianti dentali.
Nella prima metà del secolo scorso furono invece effettuati molti studi e tentativi da parte di numerosi scienziati alla ricerca dei materiali e delle forme che meglio potessero adattarsi e migliorare la resa delle tecniche implantari.
Dopo i primi insuccessi della fase pionieristica, il ricercatore svedese Per-Ingvar Branemark alla fine degli anni Sessanta mise a punto un sistema studiato con rigore scientifico; tale sistema impiantare diede all’Implantologia piena dignità scientifica e clinica.
Al Dr. Branemark si deve anche il termine di “osteointegrazione” per definire l’unione ottimale fra un osso e un impianto artificiale senza tessuto connettivo apparente.
Branemark sperimentò numerose tecniche e materiali, collezionando una lunga serie di fallimenti, finché non si rese conto che il titanio era il metallo in grado di garantire l’osteointegrazione migliore.
Il titanio è infatti il materiale maggiormente usato oggigiorno per la sua perfetta osteointegrazione e biocompatibilità; esso viene accettato in maniera ottimale dall’organismo senza innescare reazioni di rigetto.
Le tecniche chirurgiche per l’inserimento dell’impianto sono principalmente due: a carico immediato e a carico differito.
Nell’implantologia a carico immediato la protesi viene montata contestualmente al pilastro; mentre nel caso dell’implantologia a carico differito viene inserito il pilastro e, successivamente, si aspetta qualche mese prima di inserire la protesi, al fine di favorire una maggiore osteointegrazione. Sarà il dentista, ovviamente, a decidere per quale delle due tecniche optare anche tenendo in considerazione le condizioni di salute generale di ogni singolo paziente.
In genere l’intervento di implantologia, che viene eseguito in anestesia locale, dura meno di un’ora, anche se la durata è variabile a seconda della complessità dell’intervento stesso. Una volta terminato, il paziente può riprendere le normali attività.
Non vi sono particolari limitazioni per questo tipo di intervento, ma dovrebbero evitare di sottoporvisi i pazienti che hanno disturbi della coagulazione o che seguono una terapia a base di anticoagulanti, i diabetici, gli anemici, le donne in gravidanza.
La percentuale di successo è altissima e sfiora il 100%; inoltre, la durata dell’impianto varia fra i 15 e i 25 anni, anche se tutto dipende ovviamente anche da un corretto comportamento da parte del paziente: l’impianto necessita infatti di una scrupolosa igiene orale e di regolari controlli dal dentista ed è sconsigliabile pertanto agli accaniti fumatori, oltre che a coloro che hanno una pessima igiene dentale e abitudini alimentari scorrette.
Osservando alcuni piccoli, semplici accorgimenti sarà possibile salvaguardare la salute dell’impianto… e quella del proprio sorriso!

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