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La questione curda e la lotta armata

Per i curdi Diyarbakir ha un significato ben preciso, vuol dire entrare a far parte della lotta armata. Un antico proverbio sostiene che le ripide alture del sud-est dell’Anatolia, conosciute col nome proibito di Kurdistan turco, sono ormai per la poplazione locale gli unici amici. E chi sceglie, dopo una decisione solitamente travagliata, di intraprendere la strada, davvero tutta in salita, che porta sui monti ovvero di entrare nel Pkk, Partito dei lavoratori del Kurdistan, sa bene che per la legge sta diventando un terrorista. Da circa tre anni, al termine di un lungo periodo di confusione dovuto all’arresto di Abdullah Ocalan, il leader del Pkk che tra il 1998 e il 1999 tovò rifugio per due mesi anche in Italia, si è ripresa la guerra contro l’esercito turco. Un conflitto silenzioso e durissimo, di bassa intensità, capace però di causare ogni giorno vittime sia dell’una che dell’altra parte mentre regna il quasi totale disinteresse dei media internazionali.

 

Oggi il Partito dei lavoratori del Kurdistan sostiene di battersi non più per il separatismo, ma per la difesa dei diritti di libertà di opinione ed espressione del popolo curdo. In Turchia, poichè il nazionalismo è molto sentito, la questione curda e le sue discussioni finiscono per urtare la classe dirigente. Una soluzione, fino ad ora, è sempre mancata. Ad aggravare la situazione nell’ultimo periodo, oltre all’esplosione di bombe in diverse città, si è aggiunto il piazzamento di centinaia di carri armati a ridosso della frontiera con l’Iraq. L’intenzione è chiara. La minaccia di superare il confine del Kurdistan iracheno, luogo in cui i guerriglieri hanno piazzato da qualche anno le basi, è una mossa che atterrisce lo stesso governo, imbarazza gli Stati Uniti e preoccupa l’Europa.

E’ notevole che all’interno del Pkk ci siano anche molte donne, con mansioni  pari a quelli degli uomini sia a livello strategico che a quello tattico. In altre parole ciò significa di poter tanto decidere quanto sparare.

Se è vero che da un punto di vista psicologico le donne sopportano di più le durezze della guerra e reagiscono meglio, da un altro punto di vista, quello più emozionale, sono più esposte. Se catturate vengono violentate o torturate. Un uomo può sopportare di essere preso vivo, un donna preferisce morire.

 

Uscire fuori da questo giro dà un idea davvero diversa rispetto a prima. La gente oggi giorno si interessa molto alla politica, in maniera meno pura e meno umana. Tutto gira intorno ai soldi e nessuno comunica più con nessuno, nessuno vuole comprendere le ragioni dell’altro. Da un punto di vista emotivo rientrare nella società è durissimo. Ma il presente rimane.

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