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Sulla gru per costruire un futuro

Lavorare tra una griglia fissa e una griglia rotante, spostare carichi pesanti, manovrare macchinari potenzialmente pericolosi, il tutto continuando a non avere diritti e a dover fuggire dalla legge per poter rimanere in un Paese che promette uguale dignità per tutti ma finisce per offrire lavoro in nero.
E quindi ecco un gruppo di sei immigrati che invece di manovrare accessori gru o usare la gru mobile per costruire, usano i loro “attrezzi da lavoro” per protestare: la gru è alta, e di per sé è un simbolo del lavoro operaio, e quindi invece di usare i ganci gru per trasportare blocchi di cemento i lavori si fermano, i bracci gru sono immobili, e gli operai stanno lì in cima, aspettando di essere visti e sperando di essere ascoltati.
Mentre il mondo diventa sempre più piccolo grazie ad una facilità di spostamento sempre maggiore, alcuni vogliono “difendere il territorio”. Ma solo il loro: si preoccupano di fare in modo che l’Italia sia degli italiani, ma allo stesso tempo pretendono di spostarsi senza problemi da uno Stato all’altro e loro stessi, spostandosi magari anche solo per una settimana di ferie, non riescono a non portare la loro italianità all’estero.
Gli immigrati che hanno protestato sulla gru a Brescia non chiedevano altro che regolarità. Perché, se hanno un lavoro onesto, devono vivere da clandestini? Perché, se non fanno nulla di male, devono essere trattati come se fossero dei criminali?
L’unica risposta sembrerebbe essere “perché non sono Italiani”, e sembra una risposta adatta al medioevo più che al XXI secolo. È comprensibile il fatto di non voler accettare che dei piccoli o grandi criminali entrino a far parte regolarmente dei cittadini del nostro Paese: di criminali ne abbiamo già tanti, quelli degli altri Paesi possiamo evitare di accoglierli.
Ma perché non accettare delle persone oneste che vengono da altri Paesi per lavorare? E soprattutto, perché, una volta entrati, ostacolarli? Perché, una volta visto che quello che vogliono è un lavoro, non accettarli come “lavoratori” invece di additarli come “stranieri”?
Forse ci siamo dimenticati di quando eravamo noi Italiani ad andare in giro per il mondo alla ricerca di un lavoro e venivamo trattati male, presi in giro e discriminati solo in quanto italiani … invece di rivalersi con chi si trova ora nella situazione in cui erano i nostri padri, nonni e bisnonni, dovremmo sapere quanto è difficile ed evitare loro le stesse difficoltà e umiliazioni.
Vogliamo essere come chi da piccolo veniva picchiato e ora picchia i suoi figli oppure come chi, essendo stato picchiato, sa quanto è doloroso e non lo farebbe mai a qualcun altro? Dovremmo sapere dai racconti dei nostri padri cosa significa vivere nella situazione di quei sei immigrati che sono stati per due settimane in cima a quella gru, in quel cantiere di Brescia.
Dalla cima della gru hanno chiesto di poter costruire un futuro, non solo case; non chiedono di avere solo diritti: è giusto che noi gli diamo solo doveri?

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