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Una catena d’oro etica – Rubrica FOOTPRINT

Per Francesco Belloni quel rifiuto diventa una sfida. Si dedica alla ricerca di diamanti che non siano costati né sangue né soprusi. Li trova in Canada, certificati dal governo che impone un codice molto rigido all’intera filiera.

Li importa e li battezza Ethical Diamond. Pochi mesi dopo, siamo agli inizi del 2007, esce nelle sale italiane Blood Diamond con Leonardo Di Caprio: il film funziona da inconsapevole volano ai diamanti canadesi estratti, tagliati e puliti nel rispetto dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni che vivono nei territori dei giacimenti, oltre che di tutte le persone coinvolte in ogni fase della lavorazione.

Francesco Belloni, classe 1970, gioielliere di terza generazione, scopre che bastano pochi spot radiofonici e qualche articolo su riviste femminili a mettere in moto una catena, o come usa dire oggi, una rete.

Già, perché anche nel terzo millennio le giovani donne sognano un diamante a suggello del fidanzamento e, forse più sensibili alle tematiche sociali, inorridiscono all’idea che quel solitario tanto sospirato sia costato indicibili sofferenze e insopportabili ingiustizie a chi lo ha estratto o a chi, per insondabile destino, è nato nei pressi di un giacimento.

E indicano ai compagni dove andare ad acquistare il simbolo del loro amore.

La rete si allarga e supera addirittura i confini nazionali. Arrivano ordini sia telefonici che online che stupiscono Belloni: “In fondo un gioiello – dice – non è un materasso o una pentola che scegli su internet a cuor leggero.

Ti piace vederlo, rigirarlo tra le mani, osservarne la luce. Invece mi chiamano per dirmi che la loro fidanzata vuole proprio un diamante etico e, o prendono l’aereo e vengono fino a Milano oppure non hanno scelta, se lo devono far spedire.”

Sarà il passa-parola, sarà la serietà della documentazione allegata, fatto sta che l’incremento della vendita di diamanti etici è a due cifre: più 30 per cento in nemmeno tre anni.

Ma se ci si comincia a interrogare sulla provenienza degli oggetti e dei materiali con i quali sono prodotti, non ci si ferma al primo quesito.

E infatti Belloni si sente sempre più spesso chiedere notizie sull’oro. “Me l’ero posta anch’io questa domanda. Ma la questione è molto più complicata, anche dal fatto che una parte dell’oro in circolazione è frutto del riciclo: dai lingotti delle riserve auree degli Stati alla catenina consegnata in cambio di una nuova per un nipote appena nato.”

Il gioielliere non molla. E nel 2008 viene finalmente in contatto con un’organizzazione colombiana, la Green Gold Corporation che gestisce una miniera nella regione biogeografica del Chocó, lunga striscia di terra affacciata sul Pacifico nota per l’incredibile concentrazione di biodiversità. “I minatori – racconta Belloni – sono anche i proprietari della terra su cui scorre il fiume dal quale estraggono l’oro già dilavato dall’acqua senza utilizzare sostanze chimiche. La Corporation ha come obiettivo quello di contribuire al benessere della comunità attraverso la promozione di sistemi produttivi equi e lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali.”

Belloni registra immediatamente il marchio Ethical Gold e decide di iniziare a produrre con quell’oro diversi tipi di fedi. “Quasi una scelta obbligata: se ti sei fidanzato con un diamante etico, vuoi mettere al dito della tua sposa un anello che rispetti la dignità umana.”

Poi disegna un piccolo angelo custode che, riprodotto in oro etico, diventa il regalo perfetto per un battesimo e, solo su ordinazione, incastona i brillanti in montature realizzate con lo stesso oro. “L’unico problema è che, a differenza dei diamanti etici, che hanno lo stesso prezzo degli altri, l’oro della Green Gold è un po’ più caro e arriva in piccole quantità.”

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