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La libertà di stampa spiegata da Angelo Greco

La libertà di stampa e di informazione sono sacre e inviolabili: ma a pensarlo e, quindi, a scriverlo sono sempre i giornalisti. Evidentemente, il nostro Paese non ha ancora digerito le censure del ventennio fascista, perché ogni volta che si parla di paletti al diritto-dovere di stampa c’è sempre qualcuno che grida indignato. Non bisogna dimenticare però che, con Internet, dall’altro lato della bilancia non c’è la tutela di un regime politico, ma milioni di cittadini.
È il problema del diritto all’oblio, di cui si parla troppo poco e che invece, in un vicinissimo futuro, occuperà gli scaffali di noi avvocati al posto degli attuali recuperi credito o delle vertenze condominiali. Tra breve, il cliente si rivolgerà al legale per ottenere la “pulizia” delle pagine internet.
Mi riferisco a tutti i casi in cui il nome di un soggetto, collegato a un fatto di cronaca, venga riportato su decine (a volte centinaia) di siti e lì rimanga per sempre, pronto per essere ripescato da Google o da chiunque digiti il suo nome su una stringa di ricerca. Un’eterna gogna elettronica. Né vale che intervenga, da parte del giornalista, una rettifica o la menzione di una successiva sentenza di assoluzione: Google infatti pesca le notizie non già in ordine cronologico, bensì in base ai “click” che la pagina riceve. E certo fa più “rumore” la notizia di un avviso di garanzia che una sentenza di assoluzione. Conseguenza pratica: il sito che parla del rinvio a giudizio di Tizio sarà nella prima pagina di Google, mentre la notizia della sua assoluzione si troverà nella ventesima. L’indicizzazione dei motori di ricerca è così: premia spietatamente le notizie più popolari.
La stessa cosa vale anche nei confronti di chi non abbia mai riportato un’assoluzione e sia stato condannato in via definitiva. Anche per questi, la legge italiana prevede un “diritto all’oblio” , cioè ad essere “dimenticato”. La pubblicazione di una notizia, per essere lecita, oltre a veritiera e di pubblico interesse, deve anche essere attuale. Ripescare un fatto di cronaca di svariati anni fa è illecito e danneggia il reo. La pena, infatti, ha una funzione rieducativa e deve promuovere la reintegrazione sociale del condannato: ciò, però, non sarebbe mai possibile se la società, in ogni momento, potesse conoscere l’altrui fedina penale. Internet fa sì che qualsiasi condannato, sia pure per oltraggio al vigile urbano, sia poi costretto, per tutta la vita, a camminare con un cartello al collo con scritto: “Io sono stato un criminale”.

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